Dieci anni di Hamas. Nell’estate del 2007 la Striscia di Gaza fu attraversata dalla lunga (e sanguinosa) cavalcata del movimento di resistenza islamica, che in poche settimane prese il potere nell’enclave palestinese dopo una resa dei conti senza esclusione di colpi fra i sostenitori del gruppo e quelli, rivali, di al-Fatah. L’“anniversario” è pieno. Il bilancio è tragico. Oggi il contesto socio- economico in cui versano quasi due milioni di palestinesi è peggiorato rovinosamente. La quotidianità dei gazawi, i più colpiti dalla paralisi in cui è precipitato il processo di pace israelo-palestinese, è caratterizzata da continue restrizioni: nella Striscia scarseggiano cibo, medicine, acqua potabile.
L’elettricità, quando c’è, c’è per due ore al giorno: l’Autorità nazionale palestinese ha smesso di pagare a Israele le bollette della Striscia. Il bersaglio della scellerata decisione è Hamas, ma le vittime collaterali sono migliaia di esseri umani duramente messi alla prova in un’estate ancora più rovente del solito. «Ad agosto del 2014 – al termine dell’ultimo conflitto con Israele –, 900mila persone necessitavano di acqua e servizi igienici – riferisce Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia –. Oggi questo numero è salito a 2 milioni». La crisi energetica colpisce un territorio già devastato: a Gaza, le infrastrutture sono fatiscenti, quando non ridotte a cumuli di macerie. La disoccupazione ha superato il 40%. Quella giovanile, invece, è oltre la soglia del 60% (dati Onu a luglio 2017).
La retorica della classe dirigente di Hamas, però, non si modifica. E il mancato riconoscimento dello Stato di Israele, l’attitudine bellicosa mai abbandonata, finiscono per fare il gioco del governo di Benjamin Netanyahu, che mantiene un duro embargo sull’enclave ed è spesso tentato da una nuova azione di forza contro gli islamisti della Striscia. Il fatto è che, senza una pacificazione fra Ramallah (dove ha sede l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen) e Gaza City, di sedere a un tavolo negoziale con gli interlocutori israeliani neanche a parlarne. Forse, però, ora qualcosa si sta muovendo: la Striscia è protagonista di un riavvi- cinamento inatteso, umano ancor prima che politico. Il numero uno di Hamas, Yehiyeh Sinwar, e Mohammed Dahlan, ex leader dell’Anp a Gaza (“scaricato” da Abu Mazen con l’accusa di corruzione nel 2012), si sono ritrovati. Il termine è più che mai azzeccato visto che i due, coetanei 55enni, sono cresciuti assieme nel campo profughi di Khan Yunis, per poi scalare tutti i gradini dei movimenti avversari.
E perdersi di vista. «Abbiamo capito che è tempo di trovare una via d’uscita insieme», ha riferito lo stesso Dahlan una settimana fa, spiegando che la «chimica» ritrovata con l’amico Sinwar sta rendendo possibile un accordo finora impensabile. I due negoziatori, spalleggiati da padrini quali Emirati Arabi (Dahlan ha vissuto a Dubai in esilio per gli ultimi cinque anni) e Arabia Saudita, puntano a sbloccare il confine di Gaza con l’Egitto per dare ossigeno alla popolazione stremata. E a far affluire nella Striscia almeno 100 milioni di dollari dei sultanati del Golfo destinati a un grosso impianto per la produzione di energia elettrica. L’applicazione dell’intesa è data per imminente: a fine agosto, assieme all’energia, nella Striscia potrebbe ritornare anche la speranza.
Gli abboccamenti in corso a Gaza stanno scuotendo dal torpore Ramallah, sempre più svuotata di autorità. Abu Mazen preme pure per nuove elezioni nell’enclave sul Mediterraneo. Tutto in nome dell’“unità nazionale”. In realtà, Mohammed Dahlan è il rivale più temibile di Abu Mazen in seno all’Anp. E soprattutto l’unico in grado di riconoscere la centralità dell’enclave nella questione israelo-palestinese. E di riaprire, proprio cominciando da Gaza, un discorso che il mondo non ascolta da tempo.
LA STORIA
La Guerra del 1967. Il ritiro di Sharon nel 2005
La storia di Gaza è lunga e tortuosa. Dopo alterne vicende, in cui fu amministrata dal vicino Egitto o da governatori ottomani appositamente inviati da Costantinopoli per gestire un’area geografica strategica poiché affacciata sul Mediterraneo orientale, Gaza entrò a far parte della Palestina, affidata in Mandato al Regno Unito al termine della Prima Guerra mondiale, subendo così tutte le successive infelici vicissitudini della cosiddetta “Questione palestinese”, ancora irrisolta. Occupata durante il conflitto arabo-israeliano del 1948 dalle Forze armate egiziane, Gaza fu controllata da un Governatore militare nominato dal Cairo fino allo scoppio della guerra seguente, quella Dei sei giorni, di cui quest’anno cade il 50esimo anniversario. Proprio quel conflitto lampo, disastroso per l’Egitto, portò con sé l’occupazione israeliana. Nel 2005, Gaza e l’intera Striscia furono restituite ai palestinesi, per volontà del governo di Ariel Sharon, che autorizzò il ritiro delle truppe e la “decolonizzazione” del territorio, non senza roventi polemiche interne. In teoria, Gaza come tutti i territori palestinesi dovrebbero essere amministrati dall’Autorità nazionale palestinese, nata in virtù dell’applicazione degli Accordi di Oslo. Tuttavia, l’esito delle elezioni palestinesi del gennaio 2006 (il voto fu monitorato da osservatori internazionali e avallato come regolare), che videro trionfare Hamas sull’ormai indebolito al-Fatah, condusse all’isolamento progressivo di Gaza, il territorio palestinese in cui il “movimento islamico di resistenza” (Hamas, in arabo “entusiasmo”, è un acronimo) mosse i primi passi nel 1988. Fino allo scontro armato fra sostenitori di Hamas e loro avversari, fedeli all’Anp di Abu Mazen (Mahmoud Abbas), nell’estate del 2007. Da quel momento la Striscia e la sua capitale, Gaza City, sono state amministrate da Hamas. Nel modo peggiore. Il ripetuto lancio di razzi Qassam contro le vicine cittadine e gli insediamenti israeliani (nel mirino finiscono in particolare Ashkelon e Sderot) ha portato il governo israeliano a imporre all’intera Striscia un parziale (ma durissimo) embargo su uomini, merci e materiali. E poi ad intervenire militarmente in ripetute occasioni, nel corso dell’“Operazione Piombo fuso” (28 dicembre 2008 - 20 gennaio 2009), dell’“Operazione Colonna di nuvole” (novembre 2012), e nell’ultima offensiva iniziata nel luglio 2014, denominata “Operazione margine di protezione”