giovedì 30 maggio 2024
Alexis Mitsuru Shirahama, arcivescovo della città martire: «Oggi negli arsenali nucleari esistono ordigni che potrebbero distruggere l’intera umanità» L’iniziativa per fermare il riarmo
Il memoriale dedicato alla tragedia della bomba atomica del 1945  che portò alla resa del Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale a Hiroshima

Il memoriale dedicato alla tragedia della bomba atomica del 1945 che portò alla resa del Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale a Hiroshima - ANSA

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«Le ferite della bomba sanguinano ancora. Sono le ferite di coloro che nel 1945 erano bambini e sono sopravvissuti alla devastazione nucleare e quelle delle loro famiglie, ma c’è una ferita ancora più profonda sotto i nostri occhi: vedere affacciarsi all’orizzonte dell’umanità lo spettro di una guerra nucleare. È come se la tremenda lezione che viene dalla storia non avesse insegnato nulla. Chi produce la bomba e chi schiaccia il pulsante per azionare la bomba è un uomo, se non cambia anzitutto il cuore dell’uomo non ci sarà soluzione a questa folle corsa. Dobbiamo lavorare per il cambiamento del cuore dell’uomo. E mettere in campo gli strumenti utili per costruire la pace».

L’arcivescovo di Hiroshima Alexis Mitsuru Shirahama

L’arcivescovo di Hiroshima Alexis Mitsuru Shirahama - Marco Gianinazzi

Alexis Mitsuru Shirahama è l’arcivescovo di Hiroshima, città martire della Seconda guerra mondiale, e pronuncia queste parole avendo ben presenti le minacce che in queste settimane rimbalzano sinistramente dalla Russia e non solo. Sopra la sua città, il 6 agosto del 1945 un bombardiere americano sganciò “Little Boy”, l’ordigno che provocò la morte di 140.000 persone.
«E oggi sappiamo che negli arsenali nucleari di molti Paesi esistono ordigni ben più potenti e letali che potrebbero causare la distruzione dell’umanità. Per questo vogliamo pregare e insieme far sentire la nostra voce per fermare la corsa al riarmo». Un anno fa Shirahama si era fatto promotore di una “Alleanza per un mondo senza armi nucleari” insieme ai titolari delle diocesi in cui si trovano altrettanti luoghi-simbolo: l’arcivescovo di Hiroshima dove esplose la prima bomba atomica della storia, quello di Santa Fè nel cui territorio si trova Los Alamos dove venne costruita la prima bomba atomica, e quello di Seattle nel cui territorio si trovava il più importante deposito di armi nucleari degli Stati Uniti.

Il prossimo 5 agosto, alla vigilia dell’ottantesimo anniversario di Hiroshima, i quattro promotori dell’appello proporranno l’adesione agli altri vescovi del Giappone e ai vescovi americani e coreani, ai rappresentanti delle congregazioni religiose e a istituzioni educative. Nel documento vengono sollecitati un impegno per diffondere la cultura della pace e per fare conoscere gli effetti provocati sulle persone e sull’ambiente dagli esperimenti nucleari, un programma di aiuti a chi è stato vittima delle armi nucleari, la celebrazione di una Messa ogni anno con la speciale intenzione per un mondo senza armi atomiche. «Ci auguriamo che saranno in molti ad aderire a questo documento, che testimonia l’impegno della Chiesa per la pace e si propone come una declinazione delle parole pronunciate da papa Francesco in occasione del suo viaggio in Giappone nel 2019, quando definì “immorali” l’uso e il possesso dell’energia atomica per fini di guerra».


Hiroshima auspica che anche il Giappone firmi il Trattato per la proibizione delle armi nucleari entrato in vigore nel 2021, pur essendo consapevole che il suo Paese si trova sotto l’ombrello americano e quindi la sovranità nel prendere una decisione come questa è limitata, «ma credo che l’orizzonte verso cui muoversi debba essere quello. Bisogna avere coraggio, ridare speranza in un mondo che non sa più dove trovarla e che per questo non sa affrontare il futuro con uno sguardo positivo. La società giapponese è lo specchio di questo, come testimoniano il calo della natalità, il ricorso all’aborto e l’alto numero di suicidi. Abbiamo però anche dei testimoni di speranza ai quali guardare. Ad esempio un uomo come Paolo Takashi Nagai, il medico che nell’esplosione atomica perse la moglie Midori, che l’aveva portato ad abbracciare la fede cattolica. Nel suo libro Pensieri dal Nyokodo, scritto nel 1951 pochi giorni prima di morire, disse parole profetiche: «Avendo io subito gli effetti della bomba atomica sulla mia pelle, mi rendo conto molto bene di quale sia il danno più terribile che ci sia stato arrecato. La cosa più devastante non è la perdita delle nostre case, né il fatto che tutti i nostri beni siano andati in fumo; e non è neanche la morte di tanti nostri parenti e amici, ma è proprio l’orrore che è entrato nella nostra stessa anima e che si manifesta con la perdita di fiducia nell’umanità».

L’incontro con il vescovo di Hiroshima avviene in occasione di un pellegrinaggio promosso da “Russia Cristiana” alla scoperta dei segni del cristianesimo in un Paese che l’ha conosciuto cinque secoli fa e che fu teatro dell’epopea dei kakure kirishitan, i “cristiani nascosti”, che per oltre duecento anni hanno conservato la fede nel nascondimento venendo sottoposti a sanguinose persecuzioni da parte dei governi. Oggi i cristiani sono meno di due milioni in un Paese che conta 125 milioni di abitanti. Shirahama è figlio di quel popolo: i suoi antenati abbandonarono Nagasaki e si rifugiarono su un’isola per scampare alle persecuzioni. «Da loro possiamo imparare che quando tutto intorno sembra crollare, c’è qualcosa che non muore mai: la fede in Chi ha offerto la sua esistenza per la salvezza di tutti, ha sconfitto la morte e ha cambiato il cuore dell’uomo. Perché il mondo ritrovi speranza, deve cambiare il cuore dell’uomo».

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