sabato 29 giugno 2024
Irina Scerbakova, fondatrice di Memorial, è in Italia per la consegna del Premio Hemingway: «Il regime propone un generico ritorno al passato. Per questo è importante sapere davvero quanto è accaduto»
La storica di Memorial Irina Scerbakova

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Non l’appagamento di una curiosità intellettuale, il soddisfacimento dell’interesse erudito di conoscere il passato. Bensì un atto, molto contemporaneo, di resistenza civile. Questa è la storia per Irina Scerbakova, fondatrice di Memorial. L’organizzazione, insignita del Nobel per la Pace nel 2022, ha ricostruito gli orrori dello stalinismo e reso giustizia alla memoria delle vittime. Un lavoro portato avanti nonostante le successive repressioni. E proseguito anche dopo lo scioglimento, nel 2021, ordinato da Vladimir Putin. Un impegno che Irina Scerbakoka ha assunto in prima persona, lavorando in particolare con i giovani. Da qui la scelta di assegnarle il Premio Hemingway, consegnato a Legnano Sabbiadoro, dopo un dialogo con Tommaso Piffer, direttore dell’Associazione Friuli Storia. “Senza ricordo non c’è futuro per gli individui, i popoli, le nazioni, afferma la studiosa.

Perché la storia sovietica è tanto importante per la Russia attuale?

A differenza del regime sovietico che aveva una forte proiezione futura basata sull’idea “dell’uomo nuovo”, il putinismo propone un “ritorno al passato”. La sua è un’ideologia debole, ibrida, costruita su una quasi storia in cui, al posto dei fatti, ci sono miti e teorie. Il principale è proprio quello della “grande Russia del passato”. Un riferimento volutamente vago: non viene specificato a quale periodo ci si riferisca. L’impero zarista? L’era comunista? O quale? Questo passato ambiguo è fondamentale per giustificare l’invasione dell’Ucraina.

Perché questa “quasi storia” riesce a fare presa sui russi?

Perché quella vera è ancora troppo poco conosciuta. Il recupero dalla memoria, di cui c’è stato un abbozzo dopo la morte di Stalin e, soprattutto, con la Perestroika, è stato interrotto. Negli anni Novanta ci sono state leggi importanti, come quella per l’accesso agli archivi e per la riabilitazione delle vittime. Ma, man mano che le condizioni economiche sono peggiorate, l’interesse per la storia è calato: la gente era troppo impegnata a sopravvivere. Il passato, al contrario, ha cominciato ad essere visto con una certa nostalgia: un periodo di relativa tranquillità rispetto alle convulsioni del presente. Questa ha, in qualche modo, falsato l’immagine della storia.

In che modo Putin ha sfruttato la situazione?

Il putinismo è una chimera. Come l’animale mitologico, tiene insieme parti molto diverse fra loro che creano una creatura bizzarra, strana, indefinibile. A questa configurazione ha contribuito il fatto che sia stato costruito in modo graduale nel tempo. All’inizio, Vladimir Putin ha costruito monumenti per le vittime della repressione. L’elemento centrale della sua ideologia è la prevalenza dello Stato sulla persona. Una concezione che viene affermata con la falsificazione della democrazia. Per questo, ad esempio, si continuano a celebrare le elezioni. Man mano che il tempo passa, il regime si avvicina sempre più al modello sovietico come dimostra il crescente ricordo alla censura. Anche se il sistema è molto meno strutturato. E nel putinismo hanno un ruolo importante i legami mafiosi di fedeltà al leader.

Ma i russi sostengono davvero Putin?

Una parte sì. E un’altra parte, al contrario, lo osteggia anche a costo di finire in carcere o in esilio. Mai c’era stata una simile emigrazione politica, nemmeno nell’era di Bresnev. La maggioranza delle persone, però, ha il comportamento tipico degli esseri umani durante le dittature, soprattutto in quelle impegnate in una guerra: si adattano per paura. La gente si nasconde, evita di esprimersi, finge che il conflitto non esista e cerca di andare avanti con la propria vita. La propaganda martellante li aiuta nella rimozione quotidiana. E tanti vogliono crederci.


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