lunedì 7 ottobre 2024
Alle immagini che hanno segnato tragicamente l'ultimo anno il custode di Terra Santa contrappone tre volti: «La mamma di Hersh, ostaggio ucciso. Un cresimando a Gaza. E papa Francesco a Gerusalemme»
Padre Francesco Patton, custode di Terra Santa

Padre Francesco Patton, custode di Terra Santa

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I vestiti insanguinati sparsi nel deserto del Neghev. I video di donne, uomini e bambini sepolti vivi ed esibiti come trofei. I bombardamenti che hanno trasformato Gaza in un cumulo di macerie. L’esodo senza fine né meta di un popolo privato di tutto. Il Libano in fiamme. Alle immagini che hanno segnato tragicamente gli ultimi dodici mesi, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, contrappone tre volti, capaci di squarciare il velo dell’orrore. «Quello di Rachel Goldberg-Polin, mamma di Hersh, rapito al Festival Nova e ucciso nei tunnel di Hamas. Il viso di un cresimando della Striscia. E quello di papa Francesco», afferma il religioso, a Gerusalemme dal 2016. Anni intensi, raccontati in una conversazione con Roberto Cetera nel recente Come un pellegrinaggio (edizioni Terra Santa).

Perché ha scelto questi tre volti?

Rachel Golberg-Polin ha rifiutato, come ha detto esplicitamente, di «mettere in competizione le sofferenze». Ha deciso di non vivere il suo dolore come ripiegamento ma di restare aperta alla tragedia dell’altro. Il ragazzo di Gaza, nel ricevere la Cresima dal cardinale Pizzaballa, ha definito la comunità cristiana della Striscia come «l’Arca nel mezzo del diluvio d’odio», parafrasando il nome dell’attacco di Hamas «Operazione diluvio al-Aqsa». Nel volto del Papa, infine, ho constatato una sofferenza profonda e autentica per la guerra e per tutti quanti vi sono coinvolti: gli ostaggi e i loro familiari, i morti dei kibbutz, le vittime di Gaza e del Libano. Purtroppo, non ho visto niente di simile nella gran parte dei leader politici.

Ieri è stata la giornata di digiuno e preghiera per la fine del conflitto. Ma è ancora possibile la pace?

Non è possibile o impossibile, è necessaria. Non c’è alternativa: nessuno dei due popoli se ne andrà. È più realistico, dunque, cercare la pace piuttosto che l’eliminazione dell’altro. San Francesco prese una decisione radicale: inviare i suoi frati in Terra Santa disarmati. Sembrava un’assurdità all’epoca. Invece i francescani sono rimasti continuativamente per otto secoli. Quanti sono venuti con le spade, prima o poi hanno dovuto andarsene.

Come costruire la pace?

Su un piano politico, la pace è un processo. Per avviarlo – e già questo sarebbe un successo – occorrono azioni concrete. Prima fra tutte il cessate il fuoco. E, al contempo, un negoziato. Il che implica la disposizione delle due parti a concedere per ottenere. In questo caso, però, il dialogo richiede l’intervento di soggetti terzi che lo facilitino e lo spingano: Usa e Ue devono premere su Israele e i Paesi arabi sunniti su Hamas. Andrebbero coinvolti anche Russia e Cina vista l’influenza su Teheran. È, infine, indispensabile avere una visione politica del futuro. Non si può perpetuare all’infinito l’attuale sistema omeostatico fatto di esplosioni periodiche di violenza, repressione, cessazione temporanea delle ostilità fino allo scoppio successivo.

Che cosa propone?

La pace si ottiene quando si accetta di costruire qualcosa. L’Europa è un esempio. Dopo secoli di guerra, il Vecchio Continente ha ottenuto una pace sufficientemente stabile grazie a una visione politica che ha ridotto le ragioni del conflitto - la competizione sulle materie prime – mediante la creazione del mercato comune. Anche per il Medio Oriente è giunto il tempo di andare oltre la soluzione dei due Stati, ipotizzando una comunità più ampia legata da vincoli economici e politici. Dobbiamo pensare fuori dagli schemi. Occorre, però, una classe politica con una mentalità nuova, in grado di pensare fuori dagli schemi della paura e del conflitto con cui non si può realizzare alcun futuro.

Che ruolo possono avere in questo i cristiani?

Quello di segno e profezia: i cristiani, soprattutto quelli di lingua araba, possono contribuire a gettare ponti fra il mondo ebraico e quello islamico. Mi preoccupa, però, la polarizzazione nelle due parti. Da un lato, la destra religiosa israeliana che applica categorie veterotestamentarie senza alcuna capacità di lettura critica del testo biblico. Dall’altro, il fondamentalismo islamico che strumentalizza la religione per giustificare la violenza politica. Come ha spiegato papa Francesco con inequivocabile chiarezza nel Documento di Abu Dhabi e in Fratelli tutti, la trasformazione della fede in strumento di potere e potenza da parte dei leader religiosi e politici è una grave offesa a Dio.

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