Si fa sempre più dura l’azione degli studenti. E la repressione, più che spaventare l’ala dura della protesta, sembra darle più vigore e sostegno pubblico. Almeno fino agli ultimi sviluppi, dell’altra notte, che potrebbero avere aperto una nuova fase del contrasto tra una parte consistente della so- cietà civile di Hong Kong e la lontana Pechino che – tramite la “mano” del governo locale – cerca di limitare libertà e diritti garantiti dalla legge per l’autonomia fino al 2045. Ieri, oltre mezzo milione di persone, secondo gli organizzatori, hanno espresso con la tradizionale marcia il loro dissenso verso la celebrazioni ufficiali dei 22 anni di ritorno dell’ex colonia britannica alla madrepatria cinese. Fronteggiati da una manifestazione più modesta di cittadini filo-Pechino, gli attivisti hanno sfilato nel caldo torrido alzando loro vessilli e portando a mezz’asta quelli ufficiali. Chiaramente, nonostante le assicurazioni della sospensione sine die il 15 giugno, della nuova Legge sull’estradizione che concederebbe alle autorità cinesi il diritti di chiedere la consegna di individui residenti o in transito sul territorio di Hong Kong, la protesta sta puntando più in alto, alle dimissioni del governo e – negato cinque anni fa – il diritto di elezione a suffragio universale e diretto dell’esecutivo.
Sintomo di una delegittimazione del potere attuale che nemmeno le dichiarazioni della signora Carrie Lam, a capo del governo locale, di volere ascoltare le ragioni del malcontento hanno sfumato. Contrariamente alla “rivoluzione degli ombrelli” dell’autunno 2014, anche la polizia è oggi sotto attacco, accusata di violenza gratuita e parzialità, dopo che per la prima volta, il 12 giugno ha fatto uso di proiettili di gomma, oltre che degli abituali spray al peperoncino, gas lacrimogeni e manganelli, provocando decine di contusi tra i manifestanti. Nella notte, decine di giovani mascherati e con caschi protettivi sono riusciti, dopo ore di tentativi, a sfondare le transenne e i vetri blindati e a entrare nell’aula parlamentare, occupandola fino alla scadenza dell’ultimatum di mezzanotte dato dalla polizia. Durante l’occupazione, di cui sono state diffuse all’esterno le immagini è stata anche sventolata la Union Jack e fissata al podio della presidenza, la bandiera dell’ex colonizzatore britannico, a segnare ancora più la diversità tra le radici della protesta e la visione di «un Paese due sistemi», determinante per Pechino ma da cui in particolare i giovani di Hong Kong prendono le distanze. Successivamente, dopo avere coperto l’uscita dei compagni dal Parlamento, le migliaia di manifestanti rimasti all’esterno si sono dispersi tra tafferugli, lanci di uova e di lacrimogeni, mentre la polizia entrava nel palazzo del Consiglio legislativo.
A chiusura di una giornata che potrebbe segnare una svolta nella gestione della protesta ma forse anche nell’atteggiamento delle autorità verso le rivendicazioni della cittadinanza, è stato emesso il bollettino delle autorità ospedaliere che parla di 38 uomini e 16 donne ricoverati nella giornata, con alcuni in condizioni indicate come «serie» o «stabili». Davanti un livello inedito di tensione, l’Unione Europea ha chiesto alla protesta di rinunciare a atti violenti ma Pechino ha ancora una volta chiesto alla diplomazia internazionale di farsi da parte. Intanto, a sottolineare i timori per una situazione che potrebbe sfuggire di mano e che già segna l’economia locale, da più parti si segnalano spostamenti altrove di capitali e di cittadini con doppio passaporto.