martedì 9 dicembre 2014
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«In questo “Avvento” ai tempi di ebola, che ci prepara al Natale, vorrei rivolgere un augurio a tutte le donne e gli uomini della Sierra Leone. Non solo i cristiani, tutti. Dio vuole il bene per ogni essere umano. E noi siamo chiamati a collaborare perché si compia la Sua volontà. Come? Alleviando l’uno le sofferenze dell’altro. Non lasciamo che la paura del contagio ci renda indifferenti. Restiamo uniti. Solo insieme vinceremo ebola». Padre Luis Pérez, missionario saveriano, è tornato a Makeni, in Sierra Leone, dalla Spagna dopo 12 anni. Dopo aver vissuto il periodo della feroce guerra civile, il religioso si è trovato catapultato nel ciclone ebola. Ha visto l’amico, padre Manuel García Viejo, dell’ordine di San Giovanni di Dio, ammalarsi e morire per il virus. Ed è determinato a restare. «Perché? Proprio per collaborare alla Sua volontà. La situazione sembra lievemente migliorata. Ma la ricaduta è sempre in agguato. Per due settimane non abbiamo avuto altri casi, poi d’improvviso ci sono stati tre morti. È fondamentale, però, non sprofondare nel panico», racconta padre Luis ad Avvenire. E – aggiunge – vivere con quanta più normalità possibile l’anormalità di un’epidemia devastante, che ha fatto ormai oltre seimila vittime. Per questo, la parrocchia dei saveriani, San Guido M. Conforti – nel rispetto delle regole di sicurezza sanitaria imposte dal governo – ha cominciato una serie di iniziative per celebrare questo «tempo forte». «Riflettere insieme sul Natale è un’occasione preziosa per sentirci ancora più responsabili gli uni verso gli altri. Dobbiamo essere testimoni di speranza, non a parole ma nei fatti», afferma. I piccoli gesti hanno un grande impatto sulla popolazione stremata. Ad esempio, le “visite” alle famiglie in quarantena. Dato che le autorità impediscono a chiunque di entrare nelle case in isolamento, i missionari si fermano sul ciglio opposto della strada. Da lì conversano un po’ con le persone rinchiuse. «È il nostro modo di farle sentire meno sole. A volte preghiamo, altre ci limitiamo a un momento di silenzio dato che la maggior parte delle persone non è cristiana». La colletta delle Messe viene destinata, ogni volta, per aiutare coloro che escono dalla quarantena. La fede, dunque, non è una via di fuga dalla drammaticità della situazione. «Al contrario – sottolinea padre Luis –. Essa deve darci la forza e il coraggio per impegnarci ancora di più contro questo flagello. Che può e deve essere sconfitto».Ci sono ancora alcuni, soprattutto nelle zone rurali, che considerano l’epidemia una «maledizione» o una «stregoneria». I missionari non si stancano di ripetere che Dio non maledice nessuno. E che ebola, per quanto terribile, è una malattia. «Prevenibile, in parte, con corrette precauzioni», chiarisce padre Luis. «Anche noi negli ultimi mesi abbiamo dovuto sospendere tutte le attività, a parte la Messa e il Rosario, per ridurre i rischi di contagio. Ora abbiamo ripreso le catechesi sulla Bibbia. In piccoli gruppi, che consentano una relativa distanza tra i fedeli». Con lo stesso meccanismo, martedì prossimo, si terrà la Novena. «È molto sentita. Ogni momento della Natività viene messo in scena e reso comprensibile agli analfabeti...».Makeni non rinuncerà neppure alle Messa della notte di Natale. «A causa dell’epidemia, i mezzi di trasporto non circolano dopo la sera. Così abbiamo spostato la celebrazione al pomeriggio. Anticiperemo un po’ il Natale. Beh ne abbiamo bisogno...».
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