Da tempo uccidere non è più un buon affare. Da quando molte case farmaceutiche europee si sono coalizzate e hanno impedito le esportazioni negli Stati Uniti dei farmaci necessari a confezionare il cocktail della morte per le esecuzioni capitali. Associare il proprio marchio all’ago del boia danneggiava l'immagine. Una decisione che aveva scatenato, negli Stati dove resta in vigore la pena di morte, una corsa ai “succedanei” portando però anche a un blocco, temporaneo, da parte anche della Corte Suprema per pronunciarsi sulla «crudeltà» indotta dall'uso di prodotti non «adeguati». Ma ora si è andati oltre con lo stop alle esecuzioni in Arkansas. Mai infatti uno scontro così frontale aveva contrapposto le Big Pharma a un’entità statale.
E soprattutto l’azione non aveva mai salvato (fino a pronunciamento contrario) la vita di nove condannati a morte che da lunedì prossimo rischiavano, nel giro di undici giorni, di finire uno dopo l’altro davanti al boia. In una sequenza di esecuzioni senza precedenti solo per rispettare (udite, udite) i tempi di scadenza dei farmaci impiegati per gli omicidi legalizzati. Sì, perché un farmaco scaduto - spiega la legge statunitense - potrebbe arrecare danni alla salute creando sofferenze al condannato. Rispettando così il principio che solo i sani possono essere messi legalmente a morte.
Ora, in particolare, la McKesson Corporation, distributore della Pfizer, è andata in tribunale in Arkansas denunciando il fatto che lo Stato avesse mentito sull'utilizzo del bromuro di rocuronio, uno dei tre farmaci usati per le iniezioni letali. Il sistema carcerario statale «non ha mai reso pubbliche le modalità d'uso di questi prodotti», ha scritto un avvocato della compagnia in una lettera. «Al contrario - si legge ancora - l'acquisto è partito da un account legato alla licenza di un dottore, che faceva implicitamente pensare che i farmaci fossero destinati a scopi medici». Così si è arrivati allo stop. In una nazione, gli Stati Uniti, che lentamente (lo affermano le statistiche) sta prendendo coscienza del fatto che giustiziare non é fare giustizia.