Il presidente regionale catalano Carles Puigdemont e il suo predecessore Artur Mas (Ansa)
La situazione catalana è a uno stallo. Il governo spagnolo, nonostante le pressioni di Ciudadanos e della vecchia guardia del Pp, a cominciare dall’ex premier José María Aznar, non ha avviato le procedure per sospendere l’autonomia catalana, secondo l’articolo 155 della Costituzione. Mariano Rajoy ha detto al segretario di Ciudadanos Albert Rivera che «non ci sono motivazioni giuridiche per applicare l’articolo».
Contemporaneamente, il presidente della Generalitat catalana Carles Puidgemont ha rinviato a martedì le sue dichiarazioni al Parlamento regionale, dove, per ora, all’ordine del giorno c’è solo un esame della situazione politica. Potrebbe essere un escamotage per evitare un nuovo intervento della Corte costituzionale che aveva vietato la riunione del “Parlament” perché era stato convocato su una mozione per la proclamazione dell’indipendenza unilaterale. È sempre possibile inserire questo punto cruciale nel corso della riunione, ma per intanto il fatto di non insistere a tenere la riunione nonostante il divieto è interpretato come un piccolissimo passo indietro. Un altro segnale nella stessa direzione è venuto da Madrid, dove il capo dei Mossos, José Luis Trapero è stato interrogato dalla procura nazionale in relazione all’accusa di insubordinazione, che resta in piedi, ma non è stato sottoposto a misure di carcerazione cautelari, come si temeva. Sempre sul tema caldo delle azioni della polizia nel giorno del referendum, il prefetto della Catalogna Enric Millo ha chiesto scusa per le violenze della Guardia civil contro i votanti, anche se naturalmente ha ricordato che la responsabilità di fondo stava in chi aveva convocato un referendum illegale. Si tratta, più che di veri passi indietro di una riluttanza a compiere immediatamente atti irrevocabili. È stata aperta un’inchiesta sul comportamento degli agenti in 23 seggi in cui furono ferite 130 persone da parte della procura di Barcellona.
È però rilevante che questo atteggiamento attendista sia simmetrico e simultaneo. Emergono anche prime incrinature nel partito di Puidgemont, il PDeCat. La più importante viene dall’ex presidente catalano Artur Mas che riconosce che la Catalogna «non è pronta per l’indipendenza reale», che quindi consiglia cautela, «non si tratta tanto di dichiarare l’indipendenza ma di diventare un Paese effettivamente indipendente», mentre ora «mancano cose essenziali come il controllo territoriale, la finanza e il sistema giudiziario».
Anche il ministro catalano all’impresa e all’occupazione Santi Villa ha auspicato un “cessate il fuoco” con lo Stato spagnolo per consentire l’avvio di una mediazione che porti a un negoziato, il che significa una rinuncia reciproca alla dichiarazione di indipendenza e all’applicazione dell’articolo 155, perché, ha detto «quando si è di fronte a uno scontro come questo, è più prudente fermarsi, ragionare e chiedersi se davvero non si può agire in un altro modo».
Probabilmente dal suo osservatorio economico il ministro Villa è rimasto colpito dall’ampiezza delle reazioni delle numerose imprese, anche straniere come a e banche catalane (e anche straniere, compresa l’italiana Banca Mediolanum), che dichiarano di voler trasferire le loro sedi in caso di formalizzazione della secessione. Naturalmente l’area più radicale, rappresentata dalla Cup (Candidatura d’unitat popular), non accetta in nessun modo un rallentamento e insiste perché il 10 ottobre il Parlament proclami l’indipendenza.
La dichiarazione unilaterale di indipendenza provocherebbe, quasi automaticamente, la sospensione dell’autonomia catalana da parte dello Stato spagnolo e a quel punto nessuno potrebbe più tornare indietro. Questa prospettiva non preoccupa solo i catalani, tutta la Spagna si troverebbe in una situazione critica, come ha spiegato il Fondo monetario internazionale, che sottolinea il pericolo che la ripresa spagnola, la più vigorosa del continente, venga bloccata o addirittura capovolta. A quanto pare, i due treni che stavano per scontrarsi hanno rallentato, ma la richiesta del governo di Madrid di convocare elezioni regionali in Catalogna in modo da «ristabilire la legalità» contrasta con la volontà della maggioranza catalanista del Parlament di votare per l’indipendenza, confermata dalla Cup ma non ancora dalla coalizione di governo.