La Russia ha il più grande arsenale di armi nucleari tattiche al mondo - Archivio
I deputati del Parlamento Europeo ieri hanno adottato una risoluzione per invitare i 27 membri comunitari a moltiplicare l’aiuto militare all’Ucraina, senza lasciarsi intimorire dalle minacce nucleari dei falchi russi, e chiedere ai membri e ai loro partner internazionali di «prepararsi a una risposta rapida e decisiva se la Russia bombardasse l’Ucraina con armi nucleari». Bruxelles ha invero le mani legate. Non avrebbe strumenti militari da poter contrapporre alla Russia. Potrebbe attivare unicamente meccanismi di protezione civile. I trattati non prevedono altro. I parlamentari europei sembrano rivolgersi piuttosto agli Stati Uniti e alla Nato, unici a poter incidere manu militari. Ma ce ne sarà davvero bisogno?
I russi hanno un arsenale atomico superiore a quello dell’Occidente. Ma infinitamente ridotto rispetto a quello sovietico. L’Urss d’antan aveva 25mila ordigni nucleari tattici, dislocati in 600 basi. La Russia odierna non va oltre le 1.000-2.000 testate nucleari substrategiche, le temutissime armi atomiche tattiche. È la potenza della loro detonazione a definirle: oscilla dai pochi kilotoni delle più contenute a un massimo di 200 chilotoni delle più dirompenti. Il che ne limita gli impieghi operativi a colpi mirati: loro obiettivi sono i posti di comando, le concentrazioni di truppe e di blindati, le infrastrutture belliche e i centri urbani, in funzione terroristica. Ma gli stessi risultati anti-città sarebbero ottenibili con i bombardieri e i cannoni zeppi di esplosivi convenzionali, come testimoniano le rovine di Mariupol e di molte città dell’est ucraino.
Diversamente dalle armi strategiche, le testate nucleari tattiche non sono poi schierate permanentemente. Sono custodite in depositi e bunker. Le procedure per attivarle sono farraginose e le intelligence occidentali stanno monitorando da tempo movimenti sospetti di personale e unità di sicurezza ad esse preposte. La catena di comando è lunghissima. Muovendo da Putin, scende al dodicesimo direttorato, quindi ai depositi e alle forze di sicurezza che dovrebbero trasportare le testate e custodirle fino al campo di battaglia. Bisognerebbe infine montare le ogive sui lanciatori. È difficile immaginare che in questo lungo percorso, la comunità d’intelligence statunitense non si accorga di nulla. È in allerta dal 24 febbraio. E il Pentagono ha già pronti i piani di contingenza. Pensiamo davvero che la Russia userà l’atomica? Se lo facesse, incorrerebbe in una rappresaglia dell’Occidente, convenzionale o meno, condannandosi a una sconfitta quasi certa. Contaminerebbe per decenni territori confinanti con la Federazione, che il Cremlino ambisce a fagocitare. Un’esplosione nucleare sull’Ucraina propagherebbe le radiazioni fino in Russia. I venti che soffiano sulle steppe ucraine sono instabili e imprevedibili. Per produrre effetti decisivi sul campo di battaglia non basterebbe poi un’unica detonazione, ne occorrerebbero molte.
Prima della guerra del Golfo, il Pentagono aveva studiato la possibilità di impiegare testate nucleari tattiche contro le armate di Saddam Hussein, colpendole nel deserto, lontano dai centri abitati e a distanze siderali dai confini statunitensi. Ne concluse che sarebbero state necessarie decine di atomiche per vincere tempestivamente la campagna militare. Nel caso ucraino, le atomiche tattiche servirebbero soltanto a infiacchire la controffensiva ucraina, interromperne il momento favorevole e sperare forse in una pausa operativa. Ma sarebbe una strategia zoppa, di corto respiro. Gli ucraini si riorganizzerebbero quasi subito e riprenderebbero gli attacchi con rinnovato slancio, stavolta affiancati dagli occidentali. Sarebbe l’innesco della terza guerra mondiale, dagli esiti devastanti. No, decisamente il nucleare non giova a nessuno.