Riccardo Turrini Vita, nuovo Garante per i detenuti - GIULIA PALMIGIANI / Imagoeconomica
«Il Pontefice ha offerto vicinanza fisica a chi non può altrimenti compiere i riti giubilari. Le parole brevi, intense e ripetute che ha usato mi appaiono universali e veramente rispondenti alla difficoltà di vita dei detenuti: ferma speranza e apertura di cuore anche nelle angustie della restrizione…». Da fine ottobre, Riccardo Turrini presiede il collegio che guida il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Il gesto di papa Francesco, con l’apertura della Porta Santa a Rebibbia, lo interpella. Ed è il punto di partenza dell’intervista con Avvenire, la prima concessa da quando si è insediato, proprio mentre si chiude un annus horribilis per il mondo carcerario italiano.
Presidente Turrini, i penitenziari sono in sofferenza, a partire dal sovraffollamento con 62mila reclusi a fronte di 47mila posti effettivi. Da quando è Garante, quali specifiche difficoltà ha potuto riscontrare?
Non sono ancora trascorsi due mesi dal mio insediamento, un tempo troppo breve per confrontare le diverse situazioni. Mi avvalgo però della mia esperienza professionale: la difficoltà massima riguarda le case circondariali delle città più grandi, soprattutto se costruite prima della guerra e nei centri storici. I continui accessi, l’indotta promiscuità, l’oggettiva consunzione delle strutture edilizie, l’esiguità degli spazi rendono molto arduo mantenere o restituire ambienti adeguati.
Papa Francesco auspica un gesto di clemenza per i detenuti. Ma la politica si divide sulle eventuali scelte: amnistia, indulto, depenalizzazione... Lei cosa ne pensa?
Anche nel Giubileo del 2000, San Giovanni Paolo II invitò a un gesto pubblico di indulgenza verso chi era in esecuzione penale. Come si ricorderà, quell’invito non ebbe seguito, almeno in Italia, poiché mancò la maggioranza necessaria in Parlamento. Sulla questione, peraltro, mi permetto di far rilevare l’asimmetria esistente fra l’approvazione di norme incriminatrici o abolitrici, per le quali basta una maggioranza semplice, e la necessità costituzionale di una maggioranza elevatissima per la approvazione di una legge di amnistia. Forse una riflessione sul punto meriterebbe l’attenzione delle Camere.
La norma sulla pena detentiva per le madri
Le ricette per affrontare la situazione prevedono assunzione di agenti, magistrati, educatori e psicologi, nuove strutture, opportunità di lavoro. Ma ci sono diritti compressi, dietro le sbarre, su cui si potrebbe intervenire adesso, in attesa di misure strutturali?
Preferisco parlare di servizi, che potrebbero crescere senza particolari difficoltà. Segnalo, ad esempio, l’esperienza dei frequenti video-colloqui che si fece durante il Covid e che fu di grande sollievo, specialmente per i detenuti stranieri che hanno le famiglie lontane. Una ripresa di quello strumento su larga scala andrebbe incontro al bisogno di relazioni affettive e familiari. Se non erro, anche il Ministro della giustizia aveva espresso un simile orientamento. Inoltre, nei confronti dei ristretti, l’esperienza suggerisce la più ampia applicazione al lavoro all’aria aperta, volontario, formativo o remunerato che sia.
Nel ddl sicurezza al vaglio del Senato c'è una norma controversa sulle detenute con figli piccoli. Come la valuta?
La disciplina proposta è ancora in fase di discussione. Non sarebbe pertanto corretto entrare nel merito di aspetti non definitivi.
Diverse inchieste giudiziarie hanno svelato un lato oscuro fatto di violenze e umiliazioni inflitte da agenti a detenuti…
Il tema è serio e merita degli approfondimenti di sistema, possibili solo all'esito dei processi e che il Garante nazionale ha ricevuto dalla legge competenza per compiere. La condizione delle persone private della libertà sfocia a volte in frizioni soprattutto con chi li trattiene, ma anche contro altri trattenuti. Per converso, il controllo di quelle situazioni richiede costante attenzione e facilmente produce tensione se non timore. Poiché tale realtà non può mutare nella sua essenza, allo stato la mia personale opinione – non impegno il Garante nazionale- è che l’addestramento continuo del personale del Corpo (stiamo parlando delle carceri) non possa essere tralasciato e debba integrare ogni strumento per l’accrescimento dell’autocontrollo.
L'anno si sta chiudendo con l’angosciante cifra di 88 detenuti suicidi. Cosa occorre per intercettare disagio e sofferenza prima che sfocino in gesti estremi?
Da papa Francesco arriva un vibrante invito a non abbandonare la speranza. E, oltre al piano della virtù teologale, la speranza appartiene al sentire generale degli uomini. Ma per coltivarla, non si hanno rimedi sempre efficaci. Qualche evidenza lascia credere che i momenti di mutamento radicale siano i più ansiogeni (arresto, dimissioni, trasferimenti, notizia di condanne ulteriori). Generalizzare la buona procedura di un accompagnamento umano della comunicazione di tali notizie potrebbe forse essere di aiuto.
Oltre a ciò di cui si è detto, cosa manca per rendere concreto il dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena?
Da un lato occorre che la struttura della pena detentiva non estingua la speranza del miglioramento delle proprie condizioni, e qui la legge italiana offre molte possibilità. Dall’altro che i servizi strumentali alla riflessione del condannato e alla sua abilitazione alla vita libera e regolate siano costantemente erogati. La costanza di quei servizi (come la formazione scolastica, sportiva, lavorativa) è forse perfino più necessaria della loro intrinseca ricchezza. Sappiamo quanto l’incertezza sia pesante da sopportare. Pensiamo quanto lo possa essere per chi non può avere la varietà di relazioni permesse alla persona libera. Questa costanza è il servizio più difficile da garantire.