Soltanto un quindicennio fa, guardando all’Africa, sarebbe stato possibile scommettere su di un continente stabile e libero dalla guerra, ma con margini incerti nella lotta alla povertà. Oggi la prospettiva si è paradossalmente ribaltata: ad un’Africa che economicamente corre più di altri continenti allargando le sue prospettive di sviluppo, si affianca l’immagine di continue crisi violente, interventi armati, colpi di Stato.Il 2013, da questo punto di vista, è stato un anno emblematico, un anno di nuove speranze e nuove angosce, chiusosi da una parte con l’addio a Nelson Mandela, l’africano del secolo, dall’altro con le immagini dei blindati francesi per le strade polverose e insanguinate della Repubblica Centrafricana, spaccata da una drammatica guerra interna. Una scena uguale a quella di gennaio scorso, quando ancora quattromila soldati inviati da Parigi contribuirono a scacciare gli estremisti islamici nel Nord del Mali. Più a sud, nella Repubblica democratica del Congo, c’è voluto a novembre l’intervento di una brigata speciale delle Nazioni Unite per stroncare militarmente i ribelli del gruppo M23 dall’est del Paese. Ma è degli ultimi giorni la notizia di un nuovo focolaio di instabilità, con la tentata presa della capitale Kinshasa da parte dei seguaci del sedicente predicatore Gideon Mukungubila. Anche tensioni che sembravano ormai sepolte sono tornate alla ribalta nel 2013 ormai terminato: in Mozambico le armi sono tornate a sparare dopo due decenni facendo riesplodere lo scontro tra il partito di opposizione della Renamo e il Frelimo, attuale partito di maggioranza.In Somalia, invece, a inizio 2013 le truppe dell’Unione Africana e del Kenya sono riuscite a scalzare gli islamisti di al-Shabaab dalle loro roccheforti urbane. Ma a settembre gli estremisti hanno mostrato ancora una volta la loro forza, uccidendo più di sessanta persone nell’attacco ad un centro commerciale di Nairobi. L’estremismo islamico sferza anche la Nigeria. Dal mese di maggio scorso, le forze di sicurezza di Abuja hanno iniziato un’offensiva contro Boko Haram nella quale sono state uccise 1.200 persone. Ma la setta continua ad attaccare e il Nord, in particolare, resta territorio off-limits. Altamente instabile, poi, la situazione in Sud Sudan: ottenuta l’indipendenza da Khartum due anni fa, dopo due decenni di guerra, il Paese più giovane al mondo sta vivendo giornate insanguinate per la lotta intestina tra i sostenitori del presidente Salva Kiir e quelli del suo ex vice Riek Machar. Sullo sfondo restano le grandi risorse petrolifere del Paese che fanno gola a mezzo mondo.Armi e risorse naturali restano tra i due maggiori elementi di scambio nel mondo del business africano. I governi del continente spendono ogni anno oltre 18 miliardi di dollari in armi e strumenti di difesa, con un trend in crescita. Oggi l’import di armi convenzionali dell’area vale l’8% del totale mondiale. Armi che poi, sempre più spesso, arrivano a sparare. D’altronde anche per la risoluzione dei conflitti l’Africa si è affidata nel 2013 agli interventi armati: nonostante i tanti discorsi di prammatica, al continente manca ancora la volontà politica di dotarsi di mediatori professionisti, preferendo di volta in volta affidarsi al massimo ad ex capi di Stato. Parallelamente, l’Africa vive un boom economico senza precedenti: tra i dieci Paesi che nel 2013 sono cresciuti di più, sette sono africani. Il Pil del continente è salito del 4,8% e quest’anno si arriverà al 5,4%, con gli investimenti esteri triplicati in un decennio fino a 56,6 miliardi di dollari. C’è un’Africa, insomma, che genera crescita, sorretta dall’aumento della classe media. Ma il fantasma della guerra rischia di far deragliare lo sviluppo del continente.