Uno dei pozzi realizzati dalla Ong bolognese Cefa nel Puntland, la regione settentrionale somala segnata dalla siccità e dall'emergenza sfollati - Luciano Centonze
Arrivano segnali di speranza anche dal fronte estremo del clima impazzito. Sono rare le testimonianze della tempesta perfetta che sta investendo la Somalia. Già agli ultimi posti nelle classifiche di sviluppo e povertà, ha perso quattro anni di raccolti per la peggior siccità del decennio, è stata colpita dai rincari selvaggi e dai tagli agli aiuti Onu per la guerra in Ucraina ed è alle prese con una guerra civile trentennale.
Secondo le agenzie umanitarie, metà della popolazione somala – oltre otto milioni di persone – è in emergenza alimentare e per 500mila è allarme carestia. L’insicurezza aggrava il quadro. Il nuovo governo tenta di riprendersi il controllo del territorio, ma i terroristi di al-Shabaab, con attentati nelle città e imponendo tasse e la sharia nelle zone agricole, opprimono la popolazione ostacolando l’attività degli operatori umanitari. Nel 2022 può ripetersi l’ecatombe del 2011, con 260mila persone morte di fame e sete nell’indifferenza globale.
«Vite cancellate» per qualcuno, ma non per Cefa, Ong cattolica bolognese da 50 anni a fianco degli ultimi soprattutto in Africa e America Latina, una delle poche voci europee rimaste in Somalia. Il responsabile progetti per l’Africa orientale Luciano Centonze racconta l’opera avviata dall’Ong con i contadini nel Puntland, a nord, fino a qualche anno fa terra di pirati.
«Qui – afferma Centonze – non piove da un anno e mezzo e la siccità ha ridotto la disponibilità idrica per l’irrigazione e salinizzato l’acqua». I mutamenti climatici stanno provocando ondate di calore anomale e venti mai visti che hanno soffiato sulla costa per giorni prosciugando terra e piante. La speranza contro la carestia è offrire ai piccoli agricoltori la possibilità di aumentare la capacità produttiva. In cooperazione con partner locali Cefa ha quindi puntato sulla coltivazione di ortaggi per 293 beneficiari. Oltre a palme da dattero, limoni, pomodori, mais. Ad esempio si è impegnata nel campo sfollati Jilab 1 di Garowe, che ospita 410 famiglie in fuga dal sud infestato dai terroristi e dalle aree rurali intorno alla città del Puntland, dove la carestia ha distrutto agricoltura e allevamenti.
«All’inizio Jilab 1 – spiega Centonze – era un campo di fortuna. Oggi con fondi Unhcr/Acnur sono state costruite case in muratura a una stanza e un piccolo cortile di 9 metri quadri. Era stato costruito un sistema di distribuzione dell’acqua, ma si è salinizzata. La compravano dalle autobotti, ma in 12 mesi il prezzo è schizzato del 70%». È diventata oro blu, inaccessibile al 70% della popolazione.
«Gli agricoltori somali e quindi quelli del campo sfollati – aggiunge Centonze – sono stati messi in ginocchio dall’aumento dei prezzi per la guerra in Ucraina. Zucchero e olio di semi sono raddoppiati, i costi del carburante che alimenta i generatori per pompare l’acqua sono insostenibili. Mancano acqua potabile e risorse per comprare semi ed attrezzi. Il governo federale di Mogadiscio e quello regionale non possono intervenire per mancanza di fondi e divisioni politiche (il Puntland è fortemente autonomista, ndr). La situazione è drammatica, il tasso di malnutrizione elevato. Le zone coltivabili si riducono. Anche la Fao ha esaurito i fondi a causa della crisi alimentare globale».
Ma la speranza contro la siccità viene proprio dal sole del Corno. Nel villaggio di Cuun, vicino a Garowe, Cefa ha portato l’irrigazione a goccia adottata con successo da alcuni contadini pionieri. Che ora stanno acquistando anche animali. L’alternativa per avviare le pompe è l’energia solare che arriva dai pannelli progettati dal Politecnico di Torino, prototipi replicabili in loco quando il governo di Mogadiscio troverà le risorse. Nell’attesa, in Puntland, dove il 70% della popolazione è priva di collegamenti alla rete elettrica e il 30% restante utilizza carissime mini-reti diesel di proprietà privata e altamente inquinanti, Cefa ha introdotto un’altra innovazione italiana.
«Abbiamo distribuito – spiega l’operatrice Concetta Bianco – a 350 famiglie di El Fahir l’“Off GridBox”, contenitore mobile a pannelli solari esterni e un sistema interno di purificazione dell’acqua. Prodotto in Italia, si può facilmente trasportare e installare in poche ore. Purifica l’acqua e distribuisce l’energia». La scatola agisce con un power bank ricaricabile che accende tre luci per 4 ore, ricarica telefonini, può irrigare raccolti e alimentare gli apparecchi per la produzione alimentare. In attesa che autorità locali e federali si accordino per finanziare un progetto complessivo di sviluppo, la solidarietà e la tecnologia portate da una Ong tengono viva la resilienza in questo pezzo d’Africa dimenticato.