martedì 15 aprile 2025
Un’analisi dell’Ocse sulle metropoli che invecchiano e sulle buone pratiche adottate dal Giappone all’Italia in materia di trasporti, servizi abitazione e occupazione over 65
Generazioni in dialogo per città davvero inclusive

KAIQUE ROCHA

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Ridisegnare i trasporti, la sanità e gli altri servizi ma anche le abitazioni con un approccio “age-inclusive” che tenga conto del progressivo invecchiamento della popolazione. Il rapporto “Città per tutte le età” realizzato dall’Ocse affronta un tema spinoso quello della convivenza nei grandi conglomerati urbani di giovani, attratti dalle università e dagli sbocchi lavorativi, e di anziani che rischiano di rimanere ai margini. Lo fa con un approccio concreto che parte dalle esperienze messe in campo dalle amministrazioni locali a tutte le latitudini. Il punto di partenza è demografico. Sebbene le grandi città siano in media più giovani rispetto alle aree interne e alle piccole città, la quota di over65 è destinata a salire dal 20,9% del 2020 al 27,9% nel 2024 nei 36 Paesi dell’Ocse. In Corea, Colombia, Messico e Giappone quelle che invecchiano più velocemente, ma anche in Europa la situazione è critica.

Le città che non sapranno pianificare politiche urbane adeguate rischiano di dover affrontare costi sociali ed economici significativi. Il rapporto fornisce una serie di azioni che i governi possono intraprendere: trasporti pubblici accessibili, opzioni abitative diversificate, investimenti nella silver economy e telemedicina. Mettere gli anziani in condizione di continuare a lavorare, se lo desiderano, può contribuire ad allentare la tensione del mercato del lavoro in molti Paesi e migliorare le loro competenze di alfabetizzazione digitale. Rendere gli anziani in grado di muoversi autonomamente, investendo sulla sicurezza pedonale, può contribuire a ridurre le emissioni inquinanti e i costi per la salute e l’ambiente. Le politiche sino ad oggi adottate si muovono lungo tre binari: la progettazione e pianificazione urbana intesa come servizi, sicurezza e sostenibilità; l’offerta abitativa su misura con iniziative di co-housing mirate e la condivisione intergenerazionale, infine, il rafforzamento della partecipazione degli anziani all’economia come lavoratori e consumatori.

In ambito di pianificazione urbana uno dei modelli più conosciuti ed adottati è quello della città dei 15 minuti, sperimentato a Parigi. Il concetto è semplice: supportare l’invecchiamento attivo, visto che con l’aumentare dell’età gli spostamenti in auto si riducono, offrendo servizi raggiungibili a piedi con una breve camminata. A beneficiarne, in termini di autonomia e di salute, anche i bambini che possono recarsi a scuola a piedi. Nella stessa direzione si muove il progetto “Slow Streets” avviato a San Francisco che punta a percorsi pedonali senza interruzioni nei quartieri, mentre a Copenaghen ci sono segnaletiche e aree pedonali accessibili anche a chi soffre di Alzheimer. A Bogotà in Colombia sono stati creati i Care Blocks edifici posizionati strategicamente a 15-20 minuti a piedi dai potenziali utenti dove si fornisce assistenza gratuita a bambini, anziani e persone con disabilità. A Baraquilla, sempre in Colombia, si è puntato sugli spazi verdi accessibili a tutti. In Giappone il modello di Compact city è stato identificato come un modo per migliorare la qualità di vita degli anziani ed è stata adottato dal 2014 in diverse città alle prese con un inverno demografico senza precedenti. Nel 2023 è stata creata un’Agenzia nazionale per l’infanzia e le famiglie con l’obiettivo di studiare politiche (ad esempio pasti scolastici gratuiti) per favorire la natalità.

Altro punto nevralgico quello dell’abitare. Se la solitudine funge da acceleratore di alcune patologie, ad esempio quelle neuro-degenerative, il caro-casa è un tasto dolente per i giovani. Alcune città si stanno organizzando recuperando aree dismesse per specifiche esigenze all’insegna della condivisione: dalla Grecia, dalla Francia alla Slovenia ci sono iniziative mirate che prevedono appartamenti con servizi in condivisione destinati ad anziani auto-sufficienti mentre a Bologna sono nati dei co-housing per under 35. A Cork in Irlanda si è pensato di aiutare gli anziani a ricollocarsi in case più piccole e facilmente gestibili. Negli Stati Uniti ci sono progetti di home sharing a Baltimora, con gli anziani che danno in affitto una stanza a persone a basso reddito, e iniziative delle università (dalla Berkley alla New York University) che prevedono una sorta di abbinamento tra uno studente e una persona avanti negli anni ai fini di favorire l’abbattimento dei costi da un lato e l’aiuto in alcune attività domestiche, dalla spesa al giardinaggio, dall’altro. Un progetto analogo è stato avviato anche a Torino.

Più complesse e ancora da implementare le iniziative rivolte all’occupazione. A Manchester istituzioni, aziende e organizzazioni non profit hanno adottato un approccio inclusivo che ha consentito a quasi 30mila anziani di rimanere attivi.

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