«La transizione verso la democrazia sarà lunga, complicata, difficile anche controversa… Non ci vorranno mesi, ci vorranno anni e l’Europa deve starci al fianco, deve aiutarci a crescere. E deve farlo soprattutto ora. Vogliamo continuare a camminare verso la modernità, e un’esecuzione non può e non deve trascinarci nel caos». Beji Caid Essebsi ha già un primato: è il più vecchio fondatore di un partito al mondo. A 86 anni ha inventato Nidaa Tounes e, declinando parole come modernità e moderazione, ha costruito una forza politica che tallona Ennahda e che ha l’ambizione di prendere per mano la Tunisia. E di non cedere alle minacce e alla violenza dell’ala più radicale e più intollerante dei salafiti.
Belaid era uno dei massimi esponenti di Nidaa Tounes e si batteva per una Tunisia laica e contro le derive islamiste del partito di governo Ennahda.E noi dobbiamo andare avanti su quella strada. Con coraggio. Con determinazione. Consapevoli che ci attaccano e ci colpiscono perché siamo una forza popolare, perché il Paese è con noi. Ed è con noi perché capisce le nostre sfide.
Ora la strada è tagliare fuori Ennahda? No, la strada era, ed ancora è, il dialogo, il confronto, è lavorare per una coalizione larga, per un governo di unità nazionale. Ennahda non ha fatto molto per la Tunisia, non ha risolto i problemi e anzi ha provato a mettere a rischio conquiste civili e sociali. Ma guai ad escluderla, guai a tagliarla fuori dal gioco politico: se non sarà più al potere rischia solo di diventare più pericolosa. E allora la nostra sfida può essere una sola: riequilibrare il suo peso.
Il primo assassinio politico di tutta la rivoluzione araba rende però tutto più complicato: il governo ha responsabilità?Ho sempre detto che vedevo l’azione del governo inadeguata. Non ha fatto mai abbastanza per contenere le spinte radicali dei salafiti. Troppe volte di fronte alle violenze si è quasi girato dall’altra parte. Ci si doveva muovere prima e invece si è esitato. Si doveva capire prima e invece si è sempre deciso di tollerare. Lo ripeto con chiarezza: sottovalutare è stato un terribile errore.
Ora che si aspetta dall’Europa e dall’Italia?Oggi abbiamo un disperato bisogno dell’Italia. Dell’Italia che conosco. Quella generosa, quella capace di respingere con forza le tentazioni razziste. Abbiamo un storia comune e siamo separati da un braccio di mare: dovete rendervene conto. La Tunisia non è l’Afghanistan, è vicina, è a due passi. E dobbiamo fare squadra per garantire la stabilità, per fermare il terrorismo, per evitare nuovi esodi. La Tunisia non può e non deve correre il rischio di vedersi risucchiata in un vortice buio di nostalgie. Deve, nonostante tutto, riprendere la marcia verso la modernità.
Come sono i rapporti con la Ue?Buoni, buoni. Pensi solo che il 92 per cento dei nostri scambi commerciali sono con la Ue. Il presidente francese Hollande è un buon amico della Tunisia. E anche Berlusconi lo è. Ora tocca a voi e tocca a noi. Uniti. Insieme. Gli investimenti stranieri arrivano quando c’è stabilità, sicurezza, armonia e noi vogliamo che sia così. Vogliamo che il turismo esca da questa spirale disastrosa. E vogliamo una politica della sicurezza efficace.
L’azione contro gli jihadisti che avevano assaltato il sito gasiero di In Amenas era davvero obbligata?Assolutamente obbligata. È stato giusto usare la mano dura, il pugno di ferro. Con i terroristi non si tratta. Mai si dovrà trattare. Non si può cedere alle minacce, non ci si può piegare ai ricatti. È vero: sono morti ostaggi innocenti, ma non c’era altra soluzione, non c’era un’altra possibile strada.