Due giorni di rastrellamenti casa per casa. Una sorta di “pulizia etnica” nei campi e fra le casupole del villaggio di Rableh, situato al confine con il Libano, nella Siria occidentale: lunedì il primo maxi-sequestro di 150 persone, ieri altri 130 civili fermati mentre erano al lavoro nei campi durante l’annuale raccolta delle mele: prelevati per strada a forza da bande armate e caricati su camion e pick-up. Un incubo durato 48 ore al massimo per 240 cristiani greco-melkiti, finito in serata con l’annuncio del patriarca Gregorios III Laham sulla avvenuta liberazione.Ore di angoscia per tutta la popolazione che ha visto gli ostaggi ammassati in una scuola nella località di Gousseh, mentre le donne, fermate in precedenza, erano subito state rilasciate. I rastrellamenti stanno terrorizzando in particolare la piccola comunità di Rableh dove lunedì tre cristiani, che erano stati sequestrati nel villaggio di Said Naya, sono stati ritrovati uccisi sul bordo di una strada. Un sacerdote locale ha dichiarato sotto anonimato a Fides che «non si tratta di una persecuzione, ma di una manovra per diffondere sospetto e diffidenza e istigare alla guerra confessionale». La regione è da mesi completamente sotto il controllo di bande armate che spadroneggiano. Nelle ultime settimane, riferiscono fonti della comunità cristiana, molti agricoltori avevano rinunciato a recarsi nei campi, ma negli ultimi giorni – grazie a una trattativa voluta dal governatore di Homs – la situazione sembrava migliorata.Il comitato locale della “Mussalaha”, l’iniziativa popolare di riconciliazione dal basso, si è subito attivato per una mediazione, ma non è chiaro al momento che ruolo abbia avuto nella vicenda. I sequestratori, riferiscono fonti della comunità cristiana, molto probabilmente fanno parte di bande armate non facilmente identificabili e fuori controllo, che agiscono in modo indipendente e non fanno riferimento all’Esercito di liberazione siriano. Una situazione che rende difficile identificare e trattare con queste bande irregolari. Si stima, infatti, che in Siria vi siano circa 2mila gruppi armati non riconducibili all’Esercito di liberazione siriano che agiscono autonomamente e spesso con il solo fine di inquinare con violenze etnico-religiose il conflitto in corso fra ribelli e lealisti. Il rastrellamento, nel villaggio cristiano di Rableh, è avvenuto in un giorno in cui almeno 50 persone sono state uccise, secondo i Comitati locali di coordinamento dell’opposizione. In particolare due ribelli e cinque soldati governativi sono morti in scontri vicino al confine con Israele, nella provincia di al-Quneitra. Intensi combattimenti tra ribelli e forze governative sono avvenuti anche vicino al confine con la Giordania, nei pressi della cittadina di Deir al Bakht, dove tre soldati lealisti sono stati catturati dagli oppositori armati. Scontri sono pure avvenuti a Dayr az Zor e sul villaggio di Souha, nella provincia di Hama, con l’utilizzo dell’aviazione. Una potente esplosione ha fatto crollare un edificio militare a Damasco, sulla strada che conduce all’aeroporto, usato dalle forze di intelligence fedeli a Bashar al-Assad. Ad Aleppo sono continuati i bombardamenti dell’aviazione siriana, in particolare nei quartieri di Hanano e Maysar, a est, e di Kalassa a sud. Inoltre, secondo l’Osservatorio per i diritti umani basato a Londra, i soldati hanno ucciso una donna che a bordo di un’auto percorreva l’autostrada che collega Damasco a un centro commerciale in periferia.
Raid degli insorti in un villaggio a Homs: sequestrati per due giorni 240 civili. Tre uccisi. Gli uomini ammassati per ore in una palestra, le donne rilasciate subito dopo la cattura.
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