Nella battaglia a Gaza si profila il rischio di coinvolgimento, diretto o indiretto, dell’Iran. Il ministro della Difesa iraniano ha lanciato ieri un appello ai musulmani invitandoli a meditare rappresaglie contro Israele. «Mettere fine ai crimini del regime sionista – ha detto Ahmad Vahidi – è possibile solamente attraverso una rappresaglia unita e rivoluzionaria da parte del mondo islamico». Venerdì, il ministro degli Esteri Ali Akbar Salehi aveva garantito il sostegno di Teheran «alla resistenza palestinese di fronte all’aggressione» e si era detto pronto a partire per Gaza. Vista da Teheran, il conflitto in atto sembrava una buona occasione per ridare lustro alla propria influenza nella regione, seriamente intaccata a causa del sostegno al regime di Assad in Siria. Ma che i responsabili iraniani hanno sprecato quasi subito. Nella sua dichiarazione, infatti, Vahidi ha affermato che «una parte della responsabilità» dell’attacco israealiano contro la Striscia ricade su «coloro che sollevano altre questioni, come la crisi in Siria», con il risultato di impedire ai musulmani di concentrare i propri sforzi contro Israele. Ben difficilmente l’Iran si vedrà così invitare alle discussioni in corso tra Paesi arabi e islamici per concordare una posizione unificata. A tutto vantaggio della Turchia. L’Iran sa anche che la strada principale per Gaza passa dal Cairo. Se non vi è dubbio sul rilievo della visita compiuta in Iran, lo scorso 30 agosto, dal nuovo presidente egiziano Morsi per il passaggio di consegne della presidenza del movimento dei Paesi non allineati al collega Ahmadinejad, è anche vero che i due presidenti non hanno discusso della ripresa delle relazioni diplomatiche, rotte dal 1979.Le «rappresaglie» dell’Iran sarebbero così da cercare nelle future mosse in Libano di Hezbollah e, in misura inferiore, della Jihad islamica, attiva a Gaza e sempre più in concorrenza con Hamas. Innescando un temibile effetto domino regionale. Ma lo spettro dell’Iran è chiaro anche a Gerusalemme. «Fino a questa settimana – scriveva venerdì l’analista israeliano Amir Oren sulle pagine di
Haartez –, il premier Netanyahu si vantava di non aver mai trascinato Israele in una guerra. Ora potrebbe essere sul punto di scatenarne non una sola ma due». Oren si chiedeva anche se la ipotizzata operazione terrestre a Gaza possa essere «un’alternativa a un possibile attacco contro l’Iran, oppure solo il primo passo», dal momento che Netanyahu e Barak «non hanno rinunciato al sogno di un’operazione su vasta scala contro l’Iran». Per poi risponde che tutto dipende dalle circostanze e dallo svolgimento delle operazioni sul terreno. Inoltre, sottolineava
Haaretz, l’operazione a Gaza è un test pratico per gerarchie militari israealiane: per le forze aeree guidate da Ami Eshel e per il capo dell’intelligence Aviv Kochavi, che nel caso di un attacco all’Iran sarebbero messi alla prova in modo ben più drastico. Anche il sito Debka, vicino ai servizi israealiani, scorge dietro la guerra a Gaza un attacco contro l’Iran. Secondo il sito, gli americani avrebbero dato luce verde a Israele per attaccare Gaza dopo che l’ayatollah Khamenei aveva fatto marcia indietro riguardo i colloqui “uno a uno” con Washington sul programma nucleare iraniano. Gli analisti di Debka affermano che la pubblicazione dell’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica in cui si afferma che è «impossibile concludere che tutto il materiale nucleare in Iran è in attività pacifiche» non è casuale. Il «grosso errore» commesso da Hamas, secondo il sito, sarebbe una visita compiuta tre mesi fa da una delegazione del movimento radicale a Teheran e Beirut, in cui avrebbe sottoscritto patti segreti di difesa militare con l’Iran e Hezbollah.