lunedì 29 settembre 2014
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Al centro della protesta che paralizza Hong Kong c'è il nodo della nuova legge elettorale per la scelta del capo dell'esecutivo dell'ex colonia britannica. Quando Hong Kong è passata sotto la sovranità cinese nel 1997, Pechino promise che, entro il 20° anniversario del passaggio di consegne, la popolazione avrebbe potuto scegliere il proprio leader a suffragio universale, in base al principio "un paese, due sistemi".Dal 1997 la popolazione di Hong Kong gode di maggiori diritti civili rispetto al resto della Cina, ma il capo del suo esecutivo è sempre stato scelto da un comitato di professionisti e uomini d'affari descritto come "ampiamente rappresentativo" della situazione locale, ma in realtà vicino a Pechino. Nel 2007, il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo, massimo organo legislativo cinese, stabilì che l'elezione diretta del capo dell'esecutivo di Hong Kong non poteva avvenire prima del 2017 e quella dei deputati non prima del 2020.Il 31 agosto di quest'anno, lo stesso Comitato ha imposto una serie di restrizioni per la scelta dei candidati alle elezioni per il capo dell'esecutivo di Hong Kong: sarà il comitato di 1.200 professionisti e uomini d'affari a indicare due o tre nomi, che dovranno ottenere al suo interno almeno i due terzi dei voti per potersi candidare. Inoltre chi vincerà le elezioni a suffragio universale dovrà ottenere il placet di Pechino prima di potersi insediare nelle sue funzioni.Le restrizioni imposte alla scelta dei candidati appaiono agli occhi dei manifestanti come un modo per vanificare la promessa di libere elezioni a suffragio universale.
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