Al centro della protesta che
paralizza Hong Kong c'è il nodo della nuova legge elettorale per la
scelta del capo dell'esecutivo dell'ex colonia britannica. Quando Hong
Kong è passata sotto la sovranità cinese nel 1997, Pechino promise
che, entro il 20° anniversario del passaggio di consegne, la
popolazione avrebbe potuto scegliere il proprio leader a suffragio
universale, in base al principio "un paese, due sistemi".Dal 1997 la popolazione di Hong Kong gode di maggiori diritti civili
rispetto al resto della Cina, ma il capo del suo esecutivo è sempre
stato scelto da un comitato di professionisti e uomini d'affari
descritto come "ampiamente rappresentativo" della situazione locale,
ma in realtà vicino a Pechino. Nel 2007, il Comitato permanente del
Congresso nazionale del popolo, massimo organo legislativo cinese,
stabilì che l'elezione diretta del capo dell'esecutivo di Hong Kong
non poteva avvenire prima del 2017 e quella dei deputati non prima del
2020.Il 31 agosto di quest'anno, lo stesso Comitato ha imposto una serie di
restrizioni per la scelta dei candidati alle elezioni per il capo
dell'esecutivo di Hong Kong: sarà il comitato di 1.200 professionisti e
uomini d'affari a indicare due o tre nomi, che dovranno ottenere al
suo interno almeno i due terzi dei voti per potersi candidare. Inoltre
chi vincerà le elezioni a suffragio universale dovrà ottenere il
placet di Pechino prima di potersi insediare nelle sue funzioni.Le
restrizioni imposte alla scelta dei candidati appaiono agli occhi dei
manifestanti come un modo per vanificare la promessa di libere
elezioni a suffragio universale.