La missione è di «sostenere l’imprenditoria giovanile in Africa, ben sapendo che i giovani della diaspora che hanno accesso all’alta formazione possono essere uno strumento di sviluppo per i loro Paesi. La maggior parte di essi, finiti gli studi, tende a restare all’estero: noi li incoraggiamo a essere parte della soluzione dei problemi africani, creando opportunità per i loro concittadini». Okendo Lewis Gayle, 28 anni, origini costaricane, è il fondatore della Harambe Entrepreneur Alliance, un’associazione impegnata a investire sui giovani africani.Come li contattate?Ogni anno teniamo una conferenza alla Harvard university con studenti africani che studiano all’estero che vengono a presentare i loro progetti. Coloro che vengono selezionati accedono ad alcuni aiuti che li aiutano a implementare i progetti.In cosa consistono questi aiuti?Offriamo delle borse di studio che consentono ai giovani di tornare nei Paesi di origine e lavorare ai progetti per tutta l’estate, grazie a delle partnership con alcune aziende. Possono avere un grande impatto, come è stato in passato per la Cina o l’India, che hanno fatto davvero buon uso dei loro giovani laureati. L’Africa ha una diaspora crescente, ma la sua forza non viene massimizzata. Se i giovani vengono incoraggiati, da loro verrà la nuova leadership del continente.
Esempi di progetti realizzati?Abbiamo giovani della Bocconi che si stanno occupando di un programma di micro-finanza nel sistema sanitario in Nigeria per 20mila persone. La comunità locale non ha accesso al sistema sanitario nazionale: molte persone non possono permettersi le cure. Con questo progetto si è convinta la comunità a investire in un fondo, parlando sia con i leader locali che con le autorità sanitarie. Un altro progetto è di un giovane ghanese della London School of Economics: sta costruendo un centro informatico che impiega anche studenti universitari che assemblano computer. Non si tratta solo di un business, ma di un «social business» sostenibile.
Negli affari spesso l’immagine dell’Africa non aiuta… È vero, e questa cattiva immagine non incide solo sugli investitori o sugli stranieri, ma anche sulla percezione che i giovani africani che vivono all’estero hanno del loro continente. Noi cerchiamo di mostrare che ci sono grandi opportunità in Africa, che la realtà sta cambiando molto rapidamente. La Cina sta investendo molto e sappiamo del successo dell’industria delle telecomunicazioni locale: questo sta consentendo a molti di guardare oltre i titoli dei giornali e intravedere delle opportunità. Le difficoltà, la corruzione, spesso vengono usate come delle scuse per non agire.
Che ruolo hanno i Paesi ricchi?Il migliore aiuto che possono dare è di iniziare a pensare all’Africa in una prospettiva maggiormente incentrata sugli affari. Se gli occidentali guardano ai massicci investimenti dei Paesi asiatici o del Brasile in Africa, vedranno che ci sono molte condizioni favorevoli. Ecco, bisogna ripensare l’Africa: questi giovani sono qui, vanno a scuola in Italia, in Occidente. Se i governi pensassero a loro come delle risorse invece che come una minaccia, lo scenario cambierà velocemente.
Quanti dei 160mila africani che ogni anno vanno a studiare all’estero poi ritornano?Si stima che il 40% di essi si stabilisca all’estero. L’impatto sul terreno dei mancati rimpatri è devastante. Ogni anno il continente impiega 150mila professionisti non africani per implementare progetti dei donatori, mentre 160mila giovani vanno via: il talento locale non viene sfruttato. Ci sono più dottori etiopi a Chicago che in tutta l’Etiopia. E oltre metà degli accademici nigeriani risiede fuori dall’Africa. In Paesi piccoli come il Senegal il problema è ancora maggiore: l’80% dei giovani senegalesi con alta istruzione lascia il continente.
La leadership politica africana è interessata a promuovere i rimpatri?Stiamo organizzando alcuni eventi in Africa proprio per incoraggiare i politici a conoscere l’imprenditoria giovanile. Spesso sono d’accordo in linea di principio, ma non sa come il fenomeno funziona e come sostenerlo, perciò stiamo cercando di rendere i politici familiari con questo potenziale, soprattutto considerando che oltre il 60% della popolazione africana ha meno di 25 anni. Se siamo seri quando parliamo di sviluppo dobbiamo investire sui giovani, mostrando di cosa sono capaci.