In India torna il reato di omosessualità. La Corte suprema ha annullato la sentenza del 2009 con cui l'Alta Corte di New Delhi aveva depenalizzato i rapporti fra adulti consenzienti dello stesso sesso e ha affermato che spetta solo al Parlamento modificare la legislazione su questa materia. Resta quindi in vigore quanto stabilito dal codice penale ottocentesco, risalente alla dominazione coloniale britannica, che nella sezione 377 definisce l'omosessualità un comportamento "contro natura" punibile con una multa e la detenzione fino a 10 anni.La Corte ha accolto gli appelli delle organizzazioni che ritengono l’omosessualità contraria ai valori religiosi e culturali del Paese (tra cui rappresentanze cristiane).Il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana, ha precisato che «la Chiesa cattolica non è mai stata contraria alla depenalizzazione dell’omosessualità, perché non abbiamo mai considerato i gay come criminali». «In quanto cristiani – ha sottolineato il cardinale in una comunicazione all’agenzia AsiaNews – esprimiamo il nostro pieno rispetto agli omosessuali. La Chiesa cattolica si oppone alla legalizzazione dei matrimoni gay, ma insegna che gli omosessuali hanno la stessa dignità di ogni essere umano». Duri i commenti delle organizzazioni per i diritti civili che prevedevano un avallo alla sentenza dell'Alta Corte, manifestazioni sono state organizzate a new Dalhi, Mumbay e in altre città indiane. Per ora il governo non ha fatto sapere se intenda promuovere una riforma della legge. Appare comunque improbabile un'iniziativa prima delle elezioni politiche di maggio, visto anche l'orientamento conservatore su queste tematiche di gran parte della popolazione e in particolare dell'opposizione indù già forte nei sondaggi. La sentenza del 2009 era arrivata dopo un ricorso della Naz Foundation, un'organizzazione indiana per la tutela dei diritti degli omosessuali.
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