Samir Khalil, gesuita e islamologo di fama internazionale, è nato e cresciuto in Egitto, vive in Libano e conosce a fondo la condizione delle minoranze cristiane nei Paesi musulmani. Dove gli attacchi ai cristiani e ai loro simboli sono un fenomeno ricorrente, anche se suscitano meno clamore rispetto a quanto accade in questi giorni con la diffusione del film su Maometto e la pubblicazione delle vignette satiriche che mettono nel mirino il profeta dell’islam.
Come giudica le reazioni del mondo islamico all’iniziativa del settimanale francese Charlie Hebdo?Sono sproporzionate, inaccettabili e nel contempo prevedibili. Spropozionate e inaccettabili per la violenza o la minaccia di violenza che le accompagna, e perché non colpiscono i responsabili dell’iniziativa, chi ha pubblicato le vignette, ma le istituzioni francesi e quelle occidentali in generale. Sono prevedibili se si tiene conto della febbre che sta contagiando le piazze islamiche: ormai basta poco per portare in piazza lo scontento che cova come il fuoco sotto la cenere in molti Paesi. Da parte sua, il settimanale francese in nome della libertà ha messo in atto una provocazione per ribellarsi a una posizione ritenuta troppo remissiva da parte dell’Occidente, per affermare che non vuole farsi mettere museruole dai musulmani. L’ha fatto nel momento peggiore, mettendo i governi occidentali in obiettiva difficoltà. Direi che siamo in presenza di due posizioni irragionevoli, di due modi sbagliati di usare la ragione. Sì, prima che un problema religioso, è anzitutto un problema di ragione.
Nei Paesi islamici la religione cristiana è spesso nel mirino. Ma le reazioni sono ben altre...Vengono attaccati i simboli, i rappresentanti, i testi. E questo accade anche per l’ebraismo. In alcuni Paesi è vietato portare la croce al collo, o si pubblicano libri che irridono il cristianesimo, a volte questo accade persino nei testi scolastici. E pensiamo a quello che accade in Pakistan, dove si può finire in carcere con l’accusa di blasfemia. I cristiani subiscono attacchi ben peggiori, spesso nell’indifferenza o nel colpevole silenzio dell’Occidente.
Il viaggio di Benedetto XVI e le sue parole che invitano alla concordia sembrano già lontane. C’è una lezione che viene dal viaggio in Libano?Il Papa ha gettato semi che daranno frutto nel tempo, ma già ora forniscono preziose indicazioni. L’esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Medio Oriente» consegnata domenica scorsa alle Chiese locali parla di «sana laicità». Che significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo una chiara distinzione e un’indispensabile collaborazione tra le due. In questo senso è un monito sia al laicismo che vuole relegare il fatto religioso alla sfera privata, sia alla tendenza molto forte nel mondo musulmano a dare giustificazione religiosa alle azioni politiche.
Come fanno i fondamentalisti...Il documento del Papa è molto chiaro. Individua le radici del fondamentalismo religioso in tre fattori: le incertezze economico-politiche, la capacità di manipolazione e quella che viene definita «una comprensione insufficiente della religione». È significativo che Benedetto XVI sottolinei che questo male affligge tutte le comunità religiose e che è necessaria un’azione di sradicamento di questo male da parte dei leader religiosi. Il Papa invita a un’opera di purificazione della fede e rilancia, come suo costume, la necessità di un’azione comune che porti alla concordia. Ha scritto cose che in questo momento sono più che mai preziose. Ascoltiamolo.