venerdì 4 aprile 2014
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Fu il primo a denunciare l’e­sistenza di brogli durante il voto del 2009 che confermò alla presidenza Hamid Karzai per altri cinque anni. A causa delle sue proteste, Peter Galbraith perse da un giorno all’altro il posto di invia­to speciale dell’Onu per l’Afghani­stan e fu richiamato negli States. Diventato senatore del Vermont, l’ex ambasciatore americano (fi­glio dell’economista John Kenneth Galbraith) non esita a ripetere le sue accuse. Senatore Galbraith, com’è la si­tuazione in Afghanistan alla vigi­lia di questo nuovo voto? In termini di potenziali brogli elet­torali e di rischi di guerra civile, è  peggiore di quella del 2009. Nel 2009 il problema principale del vo­to fu che la cosiddetta Commis­sione elettorale indipendente era stata nominata quasi interamente da Karzai, che era anche un candi­dato alla presidenza. Questo gli permise di rubare la vittoria. Siamo riusciti ad appurare che un terzo dei suoi voti erano fraudolenti.

Però allora l’Onu era coinvolta nell’organizzazione delle elezio­ni… Nel 2009 c’erano degli elementi po­sitivi. All’interno della Commissio­ne elettorale c’erano alcuni mem­bri dell’Onu che furono in grado di individuare la frode. Questa volta non ci sono controlli esterni. La Commissione è ancora stata no­minata da Karzai, che non ha po­tuto candidarsi, ma che sostiene  Zalmai Rassoul e che farebbe di tutto per impedire un vittoria di Abdullah Abdullah.

Cosa può fare a questo punto la comunità internazionale? La comunità internazionale è sta­ta complice nel creare questa si­tuazione e adesso deve conviverci. Abbiamo fatto finta di niente quan­do sono emersi i brogli del 2009. Ma quell’elezione ha letteralmen­te creato una guerra civile all’in­terno dell’etnia pashtun. Da una parte ci sono gli alleati di Karzai, compresi i potenti signori provin­ciali e i trafficanti di droga. Dall’al­tra i taleban.

In che modo l’esito delle elezioni influenzerà la presenza di una pic­cola componente di forze ameri­cane dopo la fine della missione dell’Isaf? Barack Obama non è sta­to finora in grado di far firmare a Karzai un accordo che fornisca u­na copertura legale ai soldati Usa. Penso che tutti e tre i possibili vin­citori, Ashraf Ghani, Abdullah Ab­dullah e Zalmai Rassoul, firmeran­no l’accordo di sicurezza bilatera­le con il Pentagono. Il vero proble­ma è che dopo lo scrutinio le con­dizioni sul terreno potrebbero es­sere talmente destabilizzate da rendere troppo pericolosa una pre­senza  americana.

Teme un consolidamento di po­tere da parte dei taleban? In parte. Perché se emergessero pe­santi brogli una fazione pashtun potrebbe cercare di prendere il po­tere con la forza. Ma il pericolo più grande è che le etnie tagika, azara e uzbeca si sentano imbrogliate e comincino ad attaccare sistemati­camente i pashtun, scatenando u­na  guerra di tutti contro tutti. Con livelli di violenza peggiori di quelli visti finora? Quello che abbiamo visto finora sono i taleban che cercano di o­stacolare le elezioni. E sicuramen­te in qualche provincia ci riusci­ranno, come cinque anni fa, quan­do, con atti intimidatori, impedi­rono a interi villaggi di votare. Con un’affluenza più alta nelle aree pa­shtun nel 2009, Abdullah avrebbe vinto. L’aspetto più tragico di tutto ciò è che quando nel 2009 sia gli Stati uniti che le Nazioni Unte han­no riconosciuto la vittoria di Kar­zai hanno perso credibilità locale e il supporto internazionale per la loro missione in Afghanistan. Og­gi ne vediamo le conseguenze.

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