"Condanniamo con forza l'atteggiamento della magistratura. Asia Bibi ha sofferto ormai abbastanza, anche la sua famiglia ha sofferto. Ora è tempo che venga fatta giustizia, che le siano fornite le cure necessarie; i giudici devono affrontare immediatamente il suo caso". È quanto afferma all'agenzia
AsiaNews l'attivista pro diritti umani Akeel Ali Mehdi, musulmano, che riporta l'attenzione sul dramma della madre cristiana di cinque figli, condannata a morte per blasfemia e da anni in attesa del processo di appello.
Preoccupazioni condivise da padre Ilyas John, sacerdote e attivista dell'arcidiocesi di Lahore, che conferma il rapido "peggioramento" dello stato di salute "psicologica e fisica" e chiede "cure mediche immediate" e conferma l'attenzione e le preghiere della Chiesa per Asia Bibi e Sawan Masih, un giovane anch'egli in carcere con una condanna a morte in base alla "legge nera".
Asia Bibi, dal novembre 2010 nel braccio della morte, in regime di isolamento per motivi di sicurezza, è da tempo un simbolo della lotta contro la blasfemia; per averla difesa, nel 2011 gli estremisti islamici hanno massacrato il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro federale per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico. La comunità cristiana pakistana ha promosso giornate di digiuno e preghiera - cui hanno aderito anche musulmani - per la sua liberazione.
Nelle scorse settimane la Corte di appello di Lahore ha più volte rimandato l'inizio del processo di secondo grado, perseguendo - secondo i legali della donna - una tattica dilatoria grazie a espedienti legali di vario tipo. L'ultimo episodio risale a fine maggio, quando il fascicolo relativo ad Asia Bibi è scomparso senza motivo dalla lista delle udienze. Fonti locali riferiscono che i magistrati non vogliono assumersi l'onere di emettere un giudizio sul suo caso, mentre "ordini superiori" spingono a rimandare il momento del verdetto.
Gli avvocati Sardar Khan Chaudhry e Sardar Mushtaq Gill hanno depositato una nuova petizione, perché venga fissata una data e prenda il via il processo di appello. La società civile e diversi politici, non solo cristiani, stanno perorando la causa della donna attraverso campagne di sensibilizzazione e iniziative volte a ottenerne il rilascio. Nella petizione presentata alle autorità si parla anche di una salute "psicologica e fisica" in rapido peggioramento, confermata anche dalla famiglia che l'ha incontrata nelle scorse settimane. Dal ministero degli Interni riferiscono che la donna può disporre di due visite mediche mensili, mentre i vertici della prigione parlano di rapporti medici "montati ad arte". Tuttavia, difesa e parenti rilanciano l'allarme sulle sue condizioni e chiedono cure mediche approfondite, assieme ad una data certa per il processo di appello.
Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Decine gli episodi di violenze, fra attacchi mirati contro intere comunità (Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore nel marzo 2013), luoghi di culto (Peshawar nel settembre scorso) o abusi contro singoli individui (Sawan Masih e Asia Bibi, Rimsha Masih o il giovane Robert Fanish Masih, anch'egli morto in cella), spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia.