Di più, di più, mettine di più», strilla la non più giovanissima signora all’esterrefatta pettinatrice. La sua voce copre il già smunto traffico di Hamra, fino a poche settimane fa trafficatissima via commerciale di Beirut ed oggi ridotta a un modesto rivolo di taxisti in cerca di una clientela che sembra svaporata nell’umida calura libanese. «Di più», insiste la donna. Vuole che l’inesperta ragazza le ricopra integralmente le palpebre di “kohl”, la nerissima polvere di galena, malachite e zolfo con cui fin dall’antichità le donne mediorientali si truccano gli occhi. «Serve a scacciare il malocchio», spiega con serietà la donna, lanciandomi uno sguardo torvo che non ammette dubbi. La scena, che in sé potrebbe far sorridere, ci ricorda che purtroppo non siamo sul set di “Caramel”, la fortunata commedia romantica di Nadine Labaki ambientata in un coiffeur libanese, ma in una città dove la paura corre sotto pelle insieme a un nervosismo diffuso. Una prova eloquente? Eccola: «Le richieste di medicinali psicotropi, di ansiolitici, di Valium, di Xanax – dice Widad Hachem, titolare di una famosa farmacia vicino a Piazza dei Martiri – sono per lo meno triplicate nelle ultime due settimane. La maggior parte dei clienti vengono senza prescrizione medica e noi ci rifiutiamo di vendergli dei farmaci pericolosi per la guida, la circolazione, l’equilibrio. Ma si sa, il mercato nero esiste proprio per questo...». Gli ingredienti della paura sono ben mescolati. Da un lato le autobomba – che il 23 agosto hanno colpito Tripoli nel nord e due settimane fa la banlieue sciita nella capitale e che nel comune sentire sono solo il preannuncio di una stagione di violenza interreligiosa – dall’altra il rischio palpabile che l’attacco americano alla Siria provochi un’estensione a macchia d’olio del conflitto, di cui il Libano – fragile sponda dei più potenti e determinati vicini, come Damasco e Gerusalemme – sarebbe il primo a farne le spese. I nervi scoperti li vedi anche negli Hezbollah. Da qualche giorno stanno ridislocando uomini e forze, da nord a sud, dalla Bekaa a Beirut sud, in vista di un possibile conflitto. Ma soprattutto istituiscono posti di blocco lungo la strada dell’aeroporto, fermano le automobili, controllano le identità dei passeggeri «e soprattutto – ammette un ufficiale dell’Armée al comando di un mezzo blindato – non guardano in faccia a nessuno: ieri hanno sequestrato due cittadini che stavano andando all’ospedale in visita a un parente, l’altro giorno hanno trattenuto per ore due diplomatici, uno kuwaitiano e l’altro saudita che stavano avvicinandosi ai quartieri sciiti, cioè a casa loro...». Risultato, compagnie aeree come la Mea e l’Air France hanno cancellato i voli notturni o hanno imposto al personale di bordo di non lasciare l’aeroporto durante le soste. Gli Hezbollah hanno più di una ragione di essere in allarme: gli autori degli attentati nella banlieue sono siriani e libanesi sunniti, jihadisti di nuova formazione e dalla sigla misteriosa (Brigate di Aisha) che in qualche modo hanno violato la rete di sicurezza del Partito di Dio.Nervi tesi anche a Damasco, nonostante l’ostentato sarcasmo nei confronti di Obama e della sua non proprio brillante retromarcia e l’imbarazzante pubblicazione di una fotografia che ritrae l’inflessibile (oggi) John Kerry a cena con Bashar al-Assad nel 2009. Soprattutto da quando è giunta notizia che la US Navy ha dato ordine alla portaerei Nimitz e alla sua squadra navale comprendente quattro cacciatorperdiniere e un incrociatore di fare rotta dall’Oceano Indiano verso ovest, in direzione del Mar Rosso. Al largo della costa siriane già incrociano altri cinque cacciatorperdiniere e un mezzo anfibio che può trasportare 800 marines. La destinazione ufficiale della Nimitz non è per ora il Mar Mediterraneo, ma la mossa americana è eloquente: «Cerchiamo di ridurre tempo e spazio in modo da poter essere pronti in caso di bisogno», spiegano fonti militari. «Se ci attaccano – dice Assad in un’intervista a
Le Figaro – la polveriera esploderà e tutti perderanno il controllo della situazione. Il caos e l’estremismo dilagheranno nella regione». Speranza e scommessa silenziosa di molte cancellerie in queste ore è che il conflitto si trasferisca a Ginevra, a un tavolo di pace. O quasi.