E dunque è davvero già finita l’era Obama? Può un presidente dimezzato, senza maggioranza né alla Camera né al Senato, smuovere ancora l’iter legislativo, producendo le riforme necessarie? E che peso avrà a livello internazionale un capo della Casa Bianca così debole sul piano interno? Sono questioni cruciali dopo le elezioni di metà mandato che hanno azzoppato il presidente, un incubo che nella storia Usa hanno già sperimentato solo Dwight Eisenhower, Ronald Reagan, Bill Clinton e George W. Bush.
Il BIVIO. Due sono ora le strade che Obama può percorrere. Lo scontro totale con i repubblicani o la sottile arte del compromesso. Entrambe non sono prive di rischi, entrambe possono risultare buone per esaltarne le capacità o, viceversa, per relegarlo nei libri di Storia alla voce “presidente inutile”. Già da tempo Obama sta preparando decisioni finora ritardate nel timore di un’eventuale reazione politica prima del voto. Dalla sua, il presidente ha lo strumento dell’ordine esecutivo, che gli potrà permettere di decidere in alcune materie senza consultarsi con il Congresso. Una mossa già utilizzata in passato e che ha sempre irritato i repubblicani, che hanno accusato il presidente di abuso di potere. C’è inoltre il potere di veto, a cui Obama potrà ricorrere per bloccare leggi indesiderate varate da un Congresso in mano ai repubblicani.
RECORD DI DECRETI. In base alla Costituzione, il presidente può esercitare il proprio potere attraverso ordini esecutivi che hanno forza di legge. Clinton, durante i suoi due mandati, ha emesso in media un ordine esecutivo ogni settimana, riuscendo così a legiferare dallo Studio Ovale. È quello che potrebbe provare a fare Obama per agevolare le politiche democratiche in tema di cambiamenti climatici, immigrazione, energia, diritti degli omosessuali e questioni economiche. Il primo ordine in agenda dovrebbe essere quello sull’immigrazione, dopo che la riforma è rimasta bloccata al Congresso per l’ostruzionismo dei repubblicani: il presidente potrebbe garantire l’amnistia ad almeno 11mila immigrati illegali negli Usa.
COMMERCIO E FISCO. Di segno opposto la strategia del compromesso su questioni che potrebbero ottenere un sostegno bipartisan, come gli accordi sul commercio, la riforma fiscale, le infrastrutture. Certo in questi anni i repubblicani, pressati dalla componente radicale del Tea Party, hanno preferito il «no» a oltranza ai negoziati. È anche vero, però, che da qui al 2016, ottenuta la maggioranza al Congresso, i conservatori dovranno mostrare agli americani di essere anche in grado di governare e produrre cambiamenti significativi sulle loro vite, oltre che di opporsi sempre e comunque ai democratici. «Abbiamo l’obbligo di lavorare insieme su temi sui quali possiamo trovare un accordo», ha teso la mano ieri il nuovo leader della maggioranza repubblicana in Senato, Mitch McConnell, considerato un abile negoziatore. Ma i contrasti ci saranno, eccome. «Abbiamo cinque settimane per approvare il budget» ed evitare un nuovo stop alle attività di governo, ha avvertito ieri Obama. Incandescente è il tema energetico, con i repubblicani che premono per l’approvazione dell’oleodotto Keystone XL, che dovrebbe trasportare 830mila barili al giorno di petrolio delle sabbie bituminose canadesi fino alle coste texane del Golfo del Messico. Un progetto fortemente avversato dagli ambientalisti.
LE SFIDE ESTERNE. Sul piano internazionale le difficoltà di Obama non saranno certo inferiori. Con Israele le relazioni sono ai livelli più bassi di sempre. Washington considera illegittima l’attività degli insediamenti, il premier israeliano è stato definito «vigliacco» da una fonte dell’Amministrazione Usa e Netanyahu ha risposto dicendo che gli Stati Uniti «sono scollegati dalla realtà». Gelo anche con la Russia, per la questione ucraina e non solo, a partire dal caso Snowden. La prossima settimana Obama parteciperà a Pechino al vertice dell’Asia-Pacifico Apec e lì incontrerà il presidente cinese Xi Jinping, con cui parlerà del tema della sicurezza informatica. «È un leader insipido, la società statunitense si è stancata della sua banalità», lo ha salutato il quotidiano cinese
Global Times.IL NODO IRANIANO. Tra le principali questioni dei prossimi due anni c’è poi l’Iran e la possibilità di raggiungere un accordo sul nucleare, in vista della scadenza del 24 novembre. Se Obama otterrà un’intesa che comporta temporanee concessioni in materia di sanzioni economiche, il Congresso a maggioranza repubblicana rischia di insorgere. Alti funzionari della Casa Bianca hanno fatto trapelare che il presidente non sottoporrà l’accordo al Congresso perché, non essendo un trattato, non richiede l’approvazione del Senato. Contenere le ambizioni nucleari di Teheran, magari ottenendone anche cooperazione nella guerra contro lo Stato islamico (Is) in Siria e in Iraq, sarebbe un successo non da poco per un presidente “azzoppato”, un enorme contributo finale alla sua eredità storica.