Foto Siciliani
“Mia figlia Anna (nome di fantasia) non ha mai avuto un’amica del cuore né dei compagni di classe con cui passare del tempo dopo la scuola. E la scuola, per la verità, ha sempre rappresentato una grande difficoltà per lei: non riusciva a tenere il passo con gli altri è così rimaneva inevitabilmente indietro. Le elementari sono state faticosissime; alle medie, la situazione non è cambiata molto. Alle superiori si è iscritta per tre volte al primo anno, senza mai riuscire a concluderlo.
E così, il capitolo scuola si è chiuso definitivamente… Intanto, però, Anna si sentiva sempre più sola, isolata dagli altri. Progressivamente, ha finito per chiudersi del tutto in sé stessa ed evitare di uscire di casa”.
Mentre parla di sua figlia, la voce di Mario è pacata, serena. La storia che sta raccontando è drammatica, lo sa bene. Ed è proprio per questo che sceglie con cura le parole da usare, quasi volesse proteggere, da tanto dolore, chi lo ascolta. Non indulge in dettagli inutili, ma non tralascia nulla di quanto serve per capire il senso completo di una vicenda dolorosissima eppure positiva.
Perché il valore del suo racconto è proprio questo: persino dal baratro più buio e profondo si può intravedere la luce. Seguirla, con fatica e determinazione. E, anche dopo la diagnosi di una malattia della mente, tornare alla superficie, per scoprire la possibilità di una vita piena e felice.
“Giorno dopo giorno – riprende Mario - le difficoltà e i problemi erano sempre più evidenti. Cercavamo di trovare una soluzione ma la direzione da seguire non era chiara. Poi un giorno, intorno ai 17 anni, Anna si è “ribellata” a quanto stava accadendo. Ha bevuto un intero flacone di tranquillanti. In preda alle convulsioni, l’abbiamo portata al Pronto Soccorso, dove i medici hanno subito pensato a un tentativo di suicidio e l’hanno ricoverata. Da quel primo ricovero è stata fatta la prima vera diagnosi: disturbo di personalità borderline. Poi, sono seguiti altri ricoveri, altre indagini, altre relazioni di Pronto Soccorso che parlavano di ansia, depressione, disturbo bipolare, schizofrenia… E ancora, un drammatico ma inevitabile T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio): non dimenticherò mai le urla di mia figlia che, costretta in un letto, implorava di poter tornare a casa. Né il rumore della porta del reparto di psichiatria che si chiudeva davanti a me, mentre Anna si allontanava lungo un corridoio che mi sembrava interminabile”.
E ora? La vita che Anna, che oggi ha 33 anni, si sta costruendo con impegno e coraggio.
“La vita di mia figlia è un cammino, lungo una scalinata dove ogni giorno c’è la possibilità di salire un gradino in più, di fare un passo avanti per essere sempre più autonoma nella gestione non solo della sua malattia ma anche e soprattutto delle sue risorse. Nel migliorare sempre, oggi un pochino più di ieri. E nel progettare il domani e il futuro”.
Arrivare alla consapevolezza di questa possibilità non è stato facile, né per Anna né per i suoi genitori. È stato un lungo percorso, ancora in divenire, che ha avuto però la fortuna di non essere solitario. Per Anna sono stati fondamentali i medici e gli operatori che l’hanno seguita e hanno saputo trovare per lei le terapie migliori. Per Mario e sua moglie l’incontro con Progetto Itaca, Associazione che dal 1999 è attiva nel campo della salute mentale.
In questi 25 anni Progetto Itaca è cresciuta e si è diffusa in tutta Italia, con 17 sedi che, nel tempo, hanno offerto supporto a oltre 160mila persone affette da disturbi psichici e alle loro famiglie.
Dando loro un aiuto concreto attraverso progetti di ascolto, accoglienza, sostegno, orientamento, formazione e, contemporaneamente, lavorando per far crescere informazione e prevenzione sul tema del disagio psicologico e del benessere della mente.
“L’incontro con Progetto Itaca è avvenuto per caso. Un giorno, andando al lavoro, mia moglie si era imbattuta nella locandina di questa Associazione - nata per volontà di familiari di persone con problemi di salute mentale - che si offriva di dare un senso a tutto quello che noi, come genitori, stavamo vivendo. Abbiamo preso contatto e, dopo qualche mese, abbiamo iniziato a frequentare il corso Famiglia a Famiglia, che per me è stato una vera e propria “folgorazione”. Quello di cui avevo bisogno era capire che cosa fare e riuscire a farlo nel modo migliore, con precisione. E a Itaca ho trovato ciò che cercavo. Innanzitutto, ho capito con chiarezza che anche la mente si può ammalare. E che la malattia può manifestarsi in tanti modi diversi, non sempre subito evidenti, però, e per questo a volte più difficili da cogliere e accettare. Questa consapevolezza è stata fondamentale per aiutarmi a fare pace con me stesso rispetto al senso di colpa che provavo come genitore: Anna non stava male per causa mia, ma perché era malata”.
“E la sua malattia – prosegue Mario - andava affrontata con gli strumenti giusti, con le giuste professionalità e con tutto il tempo necessario, senza fretta né impazienza. E ancora, grazie al confronto e alla condivisione, ho capito che anche a noi genitori spetta più di un compito. La capacità di collaborare con i medici, con equilibrio e disponibilità, per lavorare insieme a un obiettivo comune, avendo ben chiari, però, i limiti e le responsabilità di ciascuno. E la volontà di “deporre le armi” - almeno un po’… - nei confronti dei nostri figli. Non sono loro a doversi adattare a noi, ai nostri sogni, alle nostre aspettative, ma noi a dover capire che cos’è più utile fare con loro e per loro. Servono empatia e positività, volontà e coraggio per mettersi in discussione nel rapporto con i nostri figli, accettandoli per come sono e dando spazio alle loro necessità, per aiutarli davvero nel percorso che stanno affrontando. Anche se quel percorso sarà diverso da quello che noi avevamo in mente per il loro futuro…”.
Da quel primo incontro con Progetto Itaca sono passati quasi 15 anni e Mario - dopo aver frequentato anche i gruppi di Auto Aiuto, sempre insieme a sua moglie - è diventato un volontario e oggi è impegnato come formatore dei corsi Famiglia a Famiglia. E sua figlia è socia di Club Itaca, Centro diurno dedicato allo sviluppo dell’autonomia socio-lavorativa di chi convive con una storia di disagio psichico.
“Il Club per Anna è un punto di riferimento fondamentale e lì ha trovato dei compagni di viaggio che, come lei, si stanno impegnando per avere una buona vita. Insieme a loro ha fatto molte esperienze positive, che la stanno aiutando a essere sempre più indipendente e sempre più consapevole delle sue possibilità. Per quanto mi riguarda, invece, impegnarmi in prima persona come volontario è molto importante. Progetto Itaca mi ha dato tanto e in questo modo posso restituire almeno un po’ di quello che ho ricevuto. E poi, affiancare altri genitori che stanno attraversando le mie stesse difficoltà, le mie stesse paure, e vedere il loro cambiamento, mi rafforza nella convinzione che esiste sempre una possibilità di futuro. Anche quando ci si confronta con la malattia mentale”
“C’è solo una cosa di cui non si deve aver paura: parlarne. Perché farlo – conclude - aiuta a non sentirsi soli, a non chiudersi nella propria disperazione. Ad accorgersi che quella della mente è una sofferenza comune a molte più persone di quanto non si immagini. E a sconfiggere lo stigma che purtroppo, ancora, è presente nella nostra società. Per abbattere il pregiudizio, però, possiamo contare su uno strumento davvero potente: la forza dell’informazione e della conoscenza”.