giovedì 24 aprile 2014
​Il ministro Orlando: bastano gli avvocati, il giudice non serve.
Ma il matrimonio non è un patto privato di Luciano Moia
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Arriva il divorzio gestito direttamente dagli avvocati senza più nemmeno la necessità, per i coniugi, di passare da un giudice che sancisca, a nome dello Stato, la fine del matrimonio. Va nella direzione di “privatizzare” il legame coniugale, che invece ha un evidente valore pubblico e sociale, la proposta che il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha avanzato al Senato, presentando la Linee programmatiche del proprio mandato. Con l’obiettivo di «ridurre il carico degli uffici giudiziali», il Guardasigilli ha annunciato la presentazione di un progetto di legge che, «rifacendosi all’esperienza francese», sottragga «alla giurisdizione i procedimenti di separazione e di divorzio di natura consensuale». In sostanza, se i coniugi sono d’accordo sulla separazione e in assenza di figli minori o portatori di gravi handicap, la fine del matrimonio può essere decretata direttamente dagli avvocati delle parti che, ha spiegato il Ministro in Senato, potranno «raggiungere un accordo conciliativo», evitando il giudizio e consentendo «la rapida formazione di un titolo esecutivo». In ogni caso, ha precisato ieri, questi «tempi più rapidi», non andranno ad «incidere in alcun modo sull’intervallo di tempo che deve intercorrere tra la separazione e il divorzio, lasciando invariata la disciplina vigente», che prevede una decorrenza di tre anni.Anche questo punto, però, rischia di essere compromesso dal disegno di legge in discussione al Parlamento (presentato da Alessandra Moretti del Pd e Luca D’Alessandro di Forza Italia), che punta a introdurre nel nostro ordinamento il cosiddetto «divorzio breve»: tempo di separazione ridotto da tre a un anno e, addirittura, nove mesi in caso di procedura consensuale e in assenza di figli minori. Una vera e propria “volata” per decretare, al più presto, la fine del matrimonio. Quasi senza lasciare ai coniugi alcun margine di ripensamento.Sull’importanza di mantenere i tre anni di separazione, prima di decretare il divorzio, è recentemente intervenuto il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, sottolineando che questo tempo «non è una forma di coercizione della libertà degli individui», ma «la possibilità di far decantare l’emotività e le situazioni di conflitto». Questo tempo, ha proseguito Bagnasco, ha quindi una «funzione di aiuto» alla coppia e accorciarlo non farebbe il bene della famiglia e della società.«La vera questione – fa notare il direttore dell’Ufficio famiglia della Cei, don Paolo Gentili – è che, quando una coppia va in crisi si trova, molto spesso, in una condizione di grave isolamento». Molte situazioni di contrasto, aggiunge, «sarebbero sanabili» se, invece, ci fosse un «approccio sinfonico» (comunità e istituzioni) e un aiuto vero a chi si trova in difficoltà. «Con il divorzio breve – conclude don Gentili – si rende più facile la separazione, ma certamente non si rende più facile la vita sociale, di cui la famiglia è la cellula fondamentale».La proposta del divorzio breve non piace nemmeno all’avvocato matrimonialista e presidente del Centro per la riforma del Diritto della famiglia, Anna Galizia Danovi, che, anche nel recente passato, ha denunciato il grave pericolo di «deresponsabilizzare» i coniugi che si vogliono separare, in qualche modo «assolvendoli da ogni impegno» nei confronti della società. Sulla quale il divorzio breve, se dovesse diventare legge dello Stato, avrà invece un «impatto gravissimo».
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