Il presidente delle Acli Roberto Rossini (Foto Boato)
Presidente nazionale delle Acli, Roberto Rossini si è occupato, nel documento “L’Europa che vogliamo” di Retinopera, in particolare del sesto ed ultimo punto dedicato al Terzo settore e dell’associazionismo, ovviamente in chiave europea. Una rivisitazione del ruolo dell'associazionismo che, all'inizio della nuova legislatura, pare aprirsi a scenari di maggiore integrazione e scambio fra i Paesi.
Roberto Rossini, nel vostro documento si auspica un “pieno e costruttivo coinvolgimento delle associazioni di base, e in particolare di quelle giovanili” e di tutto il mondo che si associa “in modo gratuito per gli altri e per il bene comune”. Come, concretamente, sviluppare queste “reti” in una dimensione europea?
Occorrono degli strumenti, delle facilitazioni che consentano alle associazioni, e in particolare alle associazioni giovanili, di poter fare dei proficui scambi culturali. Credo che la cultura europea, che ha un patrimonio millenario, possa essere riattualizzata oggi ripartendo dal basso, dalle piccole associazioni, dai gruppi, dalle espressioni del Terzo settore. Un’area civile vivacissima nel nostro Paese e anche in altri contesti europei.
L’Italia ha una consolidata tradizione nel volontariato. Nel resto d’Europa vi è questa medesima sensibilità?
No, varia molto a secondo dei Paesi. Ma si tenga conto che parlare di volontariato è riduttivo: il volontariato in Italia è nato negli anni ’80 e ’90, e non è l’unica espressione di questa realtà di piccole associazioni che si occupano di cultura, di ritrovare le radici, di conservare la memoria storica, fare arte e spettacolo. Un volontariato non solamente sociale, ma anche culturale. Un elemento di grande innovazione. Il resto dell’Europa ha diverse sensibilità: se si va verso Nord il volontariato sociale è molto basso, perché vi è un forte Stato sociale. Il volontariato in Italia nasce come forma di sussidiarietà ai servizi, mentre in altri Paesi europei la storia, la genesi è differente.
Quali, a suo parere, gli obiettivi da mettere in agenda per un volontariato europeo, all’inizio di una nuova legislatura?
Il professor Stefano Zamagni proponeva un “Civil compact”, un atto che offra opportunità di scambio tra i gruppi del Terzo settore europei. Questo rappresenterebbe il riconoscimento di una società civile organizzata anche in modo molto diverso rispetto al passato, il riconoscimento di essere un bene per tutta Europa. In secondo luogo, servono strumenti per poter fare dei progetti, quindi avere un adeguato sostegno economico e finanziario.
Nel documento si auspica pure una “definizione comune di ruolo, funzioni e prerogative” del Terzo settore. Perché questa richiesta?
Tenga conto che in Italia esiste, ormai da un po' di tempo, un codice del Terzo settore che è stato un passo in avanti importante per definire tutta quest’area civile. Nel resto dell’Europa le legislazioni cambiano, questa dunque è la ragione di fondo. Se trovassimo, per così dire, un codice del Terzo settore europeo, come si è fatto in Italia, sarebbe un risultato importante.
Per concludere, dal Terzo settore, dall’associazionismo, dal volontariato quali contributi possono venire per costruire, oggi, una identità europea forse appannata?
Io credo che l’identità europea consiste nella storia che questo continente ha avuto. Non c’è da discutere moltissimo su questo. E’ anche vero che dietro al volontariato c’è un’idea di uomo che non nasce in altre parti del mondo, nasce in Europa. L’idea di volontariato, di apertura agli altri, l’economia del dono sono tutte acquisizioni che, come prassi, derivano dall’economia italiana del Rinascimento. Come elaborazione culturale l’idea dell’economia civile è prettamente europea: una prassi che esiste ed è il contributo che il mondo dell’associazionismo può portare nella costruzione dell’identità europea.