mercoledì 12 febbraio 2025
Max Lenarciak, Kseniya Lenarciak e Davide De Marchi

Max Lenarciak, Kseniya Lenarciak e Davide De Marchi

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Ci è voluto quasi un mese per spegnere gli incendi di Los Angeles: le fiamme divampate a Eaton e Palisades il 7 gennaio sono state definitivamente spente il 2 di febbraio. In quei 26 giorni il fuoco ha ucciso almeno 29 persone, bruciato quasi 150 chilometri di territorio, distrutto un numero ancora non quantificato di case, negozi e fabbriche. Forse poteva andare altrimenti. Non creare le condizioni perché il fuoco divampi è la prima soluzione per contrastare gli incendi. La seconda è fermare le fiamme il prima possibile. Ma per fermarle occorre sapere che il fuoco si è acceso. Il fattore tempo, nel contrasto agli incendi, è fondamentale. Queste sono cose che Max e Kseniya Lenarciak hanno imparato sulla loro pelle qualche anno fa. Marito e moglie, canadesi, erano entrambi in gran carriera nel settore finanziario: direttore dell’ufficio di Montreal del colosso BlackRock lei, co-fondatore di un fondo speculativo lui.

Nel 2020, nei mesi della pandemia, si erano rifugiati a Santa Caterina dello Ionio, in Calabria, terra di origine della madre di lui. Quell’estate gli incendi che ogni anno tormentano il Sud Italia hanno devastato i terreni dell’antica tenuta di famiglia, bruciando la foresta, il mandorleto, diversi ulivi e arrivando vicinissimi all’abitazione. Questa tragedia li ha spinti a interrogarsi se davvero non si può trovare una soluzione per combattere con più efficacia simili disastri. È nata da questa domanda Sly, la loro startup. Con l’amico biologo computazionale Davide De Marchi – che ha studiato tra Padova, Pavia e Harvard – i Lenarciak hanno costruito un prototipo di sensore che, collocato nei boschi, rileva gli elementi presenti nell’aria e, attraverso algoritmi sofisticati, riesce a individuare l’inizio di un incendio con un’accuratezza del 98%. Una volta scattato l’allarme, il sensore trasmette l’informazione a chi deve gestire la situazione, così da permettere un intervento rapido. Nel giro di un paio d’anni sono riusciti ad andare sul mercato con Treeage, questo il nome del sensore, che ha la forma di una pigna, dimensioni contenute (può stare in una scatola da scarpe) e prezzo competitivo rispetto ad altre soluzioni di prevenzione degli incendi. Treeage funziona come un “naso” e si alimenta ad energia solare: distribuendo più sensori in una foresta può dare un contributo decisivo nell’evitare disastri come quello di Los Angeles. Non a caso la California è una delle aree in cui la soluzione di Sly (che ha una sede a Santa Caterina dello Ionio, una a Milano e una a San Francisco) sta avendo più successo.

«Da subito ci siamo adattati al mercato » spiegato De Marchi, che è stato anche tra gli ospiti della terza edizione di “Orienta il futuro”, progetto formativo lanciato da Avvenire con L’economia civile, promosso da ScuolAttiva Onlus e sostenuto da Eni scuola e realizzato con il contributo scientifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il mercato, in questo caso, sta soprattutto nel mondo delle reti elettriche. «Quando i cavi ad alta tensione entrano in contatto con la vegetazione secca sono 370mila Volt che si scaricano sul terreno – spiega l’imprenditore – . Nel 2018 fu la rete elettrica a scatenare l’incendio di Camp Fire, il più devastante della storia californiana, con 85 morti e 62mila ettari di terreno distrutti. Il gruppo PG&E, la società della rete da cui è partito tutto, ha fatto bancarotta dopo avere dovuto risarci-re danni per oltre 30 miliardi di dollari. È stata una lezione pagata molto cara e oggi là questo tipo di soluzioni sono diventate obbligatorie». I sensori di Sly hanno trovato anche altre applicazioni, sempre in ambito ambientale.

Ad esempio nel settore del trasporto del metano, dove possono proporre soluzioni per il monitoraggio in tempo reale delle perdite delle reti, così da evitare la dispersione del gas in atmosfera (l’Agenzia internazionale dell’Energia stima che ogni anno circa 180 miliardi di metri cubi di gas vanno sprecati) che ha effetti dannosi per l’ambiente e pericolosi per il rischio incendi. Sly nel 2023 ha fatto il suo primo aumento di capitale, finanziato da B4i (l’incubatore dell’Università Bocconi), Zero (l’acceleratore cleantech di Cdp) e il Fondo europeo per lo sviluppo regionale dedicato alla Calabria. Tra i partner oggi conta anche un grande gruppo come Bosch, mentre lo scorso ottobre è stata premiata con la menzione speciale “Eni Joule for Entrepreneurship” nell’ambito degli Eni Award 2024. La sua esperienza conferma che anche in Italia si può fare startup. « Lo diciamo chiaramente: non siamo il Paese migliore in cui lanciare un’impresa innovativa – chiarisce De Marchi –: in particolare scarseggiano i fondi e mancano le conoscenze sulla gestione dei capitali. Su questo non si fa formazione ed è una lacuna che pesa. Dall’altra parte quando sono andato a Boston per frequentare Harvard mi sono reso conto di quanto gli italiani abbiano da dare sul lato dell’inventiva, del ragionamento, del trovare soluzioni. Quando vai sulle metriche che contano davvero, gli italiani hanno una marcia in più».

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