mercoledì 26 marzo 2025
La possibilità che uno dei componenti della coppia lavori da remoto aumenta del 40% la probabilità di pianificare una gravidanza per le potenziali madri. L'effetto sulla condivisione dei compiti
Lo smart working fa venire voglia di figli. Ma vale più per le donne
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Una delle molte domande che ci si è posti durante la pandemia di Covid riguardava la possibilità che i lockdown favorissero una ripresa delle nascite. Il baby boom da confinamento forzato delle coppie in realtà non c’è stato: se si escludono alcuni Paesi nel Nord Europa, la Germania, gli Stati Uniti e Israele, dove più spesso si è colta l’occasione per allargare la famiglia, la fecondità relativa a quel periodo ha avuto un andamento molto altalenante, con un bilancio complessivamente negativo. I lockdown hanno però lasciato in eredità una modalità di lavoro che sembra agevolare la natalità: lo smart working.

La possibilità di lavorare da remoto, una necessità durante la fase dell’emergenza sanitaria, è diventata una pratica diffusa con il ritorno alla normalità, richiesta dai dipendenti e persino offerta dalle aziende più interessate ad attirare talenti. In Italia più di 3,5 milioni di lavoratori oggi hanno la possibilità di fare smart working. Purtroppo, non tutti riescono ad avvalersene, e non tutte le strutture aziendali sono in grado di rivedere la propria organizzazione aprendosi a forme di flessibilità. A prescindere da questo, ciò che sta emergendo da alcune ricerche è la capacità del lavoro agile di favorire la conciliazione tra gli impegni di lavoro e di famiglia a tal punto da incidere positivamente sull’intenzione di avere un figlio.

Uno studio recente condotto da Thea Jansen, ricercatrice in scienze sociali del Gran Sasso Science Institute, nel quale sono state messe a confronto coppie con doppio stipendio di sette Paesi europei (Germania, Paesi Bassi, Austria, Estonia, Croazia, Finlandia e Regno Unito), va proprio in questa direzione. Dalla ricerca emerge che quando la donna può lavorare “in smart”, mentre il marito o il compagno continua ad andare in ufficio, la probabilità di pianificare una gravidanza aumenta del 40% rispetto alle coppie in cui entrambi i partner lavorano in presenza. Se la situazione è ribaltata, cioè quando la donna lavora in presenza e l’uomo da remoto, il risultato si complica un po’: la propensione a pianificare una gravidanza sale per le donne del 36%, dunque continua ad essere molto alta, ma per gli uomini cala del 19-23%.

La traduzione può essere semplice: dite a una donna che può gestire in modo flessibile i propri impegni di lavoro, o che può farlo il suo compagno, e il desiderio di diventare madre arriverà a conoscere un’impennata. Dite invece a un uomo che stando a casa da solo potrà occuparsi di più dei figli, ed ecco nascere qualche timore. «Il lavoro agile e la flessibilità che lo caratterizza – spiega Jansen – facilitano la conciliazione tra impegni professionali e familiari, rappresentando quindi un’opportunità per la realizzazione dei progetti di vita delle donne. Da un lato il lavoro agile è associato ad una più alta partecipazione femminile al mercato del lavoro, dall’altra, ad una maggiore intenzione di pianificare una gravidanza».

Thea Jansen

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È interessante notare come l’effetto dirompente che il lavoro da remoto produce sull’intenzione di diventare genitori – in particolare per le donne – si verifichi nel caso in cui uno solo dei due componenti della coppia ne può usufruire: quando entrambi lavorano da casa o in presenza, la propensione a pianificare una gravidanza resta invariata, cioè può essere anche molto elevata o molto bassa, ma così rimane.

Un’altra ricerca condotta in Germania sui comportamenti delle coppie nel periodo dal 2019 e il 2023 (Schüller 2025) aggiunge elementi interessanti mostrando come il lavoro da casa favorisca una distribuzione più equa dei compiti domestici: quando i padri lavorano in smart le donne riducono il carico degli impegni a casa di circa 2 ore al giorno, e aumentano più o meno in modo equivalente le ore di lavoro retribuito.

«La prospettiva del lavoro agile – argomenta Jansen – spiana la strada alla possibilità di avere un figlio quando chi ancora sente su di sé il carico maggiore dell’impegno nei primi periodi di vita del bambino o della bambina, sa che potrà gestire in modo flessibile il proprio tempo, oppure che potrà contare sulla disponibilità del futuro padre. La propensione delle donne ad avere un figlio aumenta quando sanno che potranno mantenere il proprio posto perché è possibile organizzarsi, in un modo o nell’altro. È come se il lavoro da remoto trasferisse la sensazione di potercela fare».

Lo studio di Jansen parla di lavoro da remoto in generale, lasciando ampia possibilità di interpretare il concetto di “lavoro agile”. E, ovviamente, affinché l’intenzione di avere un figlio possa diventare realtà, sono necessari molti più “ingredienti” rispetto alla semplice flessibilità lavorativa. La ricerca, in ogni caso, è un contributo importante al dibattito sull’importanza della condivisione dei compiti di cura nella coppia ai fini della realizzazione dei progetti familiari. Come si è visto, il “carico” legato all’arrivo di un figlio, in termini di pensieri e aspettative, come anche di centralità nelle decisioni, continua a riguardare principalmente le donne.

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