Differenziare per includere e coinvolgere tutti gli studenti, a partire da chi ha forme di disabilità e disturbi dell’apprendimento. Gli strumenti di didattica digitale integrata continuano a diffondersi nelle classi, tra mappe concettuali, piattaforme, materiali interattivi in evoluzione. In un orizzonte dove i bisogni delle giovani e dei giovani di ogni ordine e grado scolastico sono cambiati, con l’affacciarsi di nuove e dirompenti problematiche, gli strumenti digitali diventano strategici, anche se la scuola non sempre riesce a sfruttarne le potenzialità in modo coinvolgente e attivo. E rischia, anche con la tecnologia, di replicare schemi d’insegnamenti frontali, trasmissivi, che finiscono per portare avanti solo gli alunni senza specifici problemi. Lo spiegano gli editori specializzati che alle scuole forniscono proprio quei materiali digitali per la didattica integrata, da diffondere per esempio sulla Lim, la lavagna interattiva multimediale, strumento quotidiano per il 70% dei docenti, o nei tablet di classe.
Un fresco esempio di didattica digitale viene da MyEdu, casa editrice che annovera collaborazioni con 2.800 istituti e che si presenta ora con una risorsa in più, disponibile in forma gratuita per la scuola primaria: una selezione di videolezioni in Lis, la lingua dei segni italiana della comunità sorda, curata dall’esperta Vittoriana Losavio. « Per ogni materia c’è un traduttore simultaneo, un alfabeto in Lis, un glossario e poi attività interattive», spiega la presidente di MyEdu, Laura Fumagalli. Si tratta di lezioni dall’approccio non individuale, bensì corale, strutturate al contempo per chi ha disabilità uditive e chi non ne ha, con l’obiettivo di stimolare la curiosità dei bambini verso forme di comunicazione non verbale. «Il punto che accomuna le risorse didattiche digitali integrate di MyEdu è proprio questo: devono essere fruibili da tutti e adattabili a ogni bisogno specifico che si presenta nelle classi. Ce lo chiedono gli stessi docenti, con cui ci confrontiamo continuamente», continua la presidente Fumagalli.
La stessa visione trova corrispondenza nella casa editrice Erickson, specializzata da 25 anni in software per la scuola, compresi quelli per bisogni educativi speciali, disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione e iperattività. Riflette Francesco Zambotti, responsabile area Educazione Erickson e docente di Tecnologie per l’inclusione alla Libera Università di Bolzano: «La grande sfida sta nell’integrare efficacia e partecipazione, nell’andare incontro al bisogno del singolo e attirare l’attenzione di tutti. È nella differenziazione che si genera inclusione». In questo senso, gli strumenti digitali, se usati con uno sguardo consapevole, consentono un’estrema modularità di tempi, strategie. Da una lezione comune, grazie alla facilitazione tecnologica, l’insegnante può creare percorsi specifici per alunni e alunne sulla base dei loro obiettivi personalizzati, mentre secondo Zambotti «nella scuola tradizionale, e questo è un limite, esiste un solo modo di lavorare e di trasmettere la conoscenza».
Da parte degli insegnanti negli ultimi anni è emersa una richiesta esponenziale di materiale didattico inclusivo, di strumenti compensativi per aspetti e paraspetti della disabilità, da quella fisica a quella che richiama bisogni specifici dell’apprendimento. Secondo l’ultimo report “L’inclusione scolastica per gli alunni con disabilità”, elaborato dall’Istat con il Miur, nel 2021-2022 gli alunni supportati da un insegnante per il sostegno sono aumentati a 316mila, 15mila in più, il 5%, rispetto al precedente anno scolastico. Da una parte, i bisogni aumentano perché si sono raffinati gli strumenti per individuarli e le relative normative, con l’obiettivo di evitare percorsi scolastici fallimentari. È anche vero d’altro canto, lo dimostrano cronache e statistiche, che fra i giovani si manifestano maggiori disturbi della concentrazione, incapacità di gestire l’emozioni, forme d’ansia. Fragilità frutto della paura per il futuro minaccioso, in una società che non riesce più a fare sistema per dare tutele. Dunque la scuola è chiamata a mettere in campo strumenti sempre più stimolanti.
«Il libro resta centrale, ma le risorse digitali possono diventare dei facilitatori perché sfruttano la multicanalità, più linguaggi, più velocità, catturano meglio l’attenzione dei nativi digitali e così diventano inclusivi», commenta la presidente di MyEdu, Fumagalli. Ma il digitale non è la soluzione, il punto di partenza deve essere il rapporto umano, l’ascolto, lo stimolo all’autonomia. «E in questo senso, più che una formazione sull’utilizzo pratico degli strumenti digitali, che sono facilmente intuibili, è necessaria prima di tutto una maggiore preparazione in neuroscienze e psicopedagogia. Sono gli stessi insegnanti a sottolinearlo», aggiunge Fumagalli. Secondo l’Istat, in Italia il 76% delle scuole dispone di postazioni informatiche per alunni con disabi-lità, il 47% le ha dentro la classe, sebbene le percentuali al Sud scendano. La spinta alla digitalizzazione comunque c’è. Con la pandemia la dotazione di base è cresciuta grazie agli investimenti del ministero e ora ci sono i fondi del Pnrr. «Ma acquisti di tecnologie a pioggia non portano di riflesso al loro corretto utilizzo – conclude per Erickson Zambotti –. C’è chi sfrutta queste risorse in modo consapevole, favorendo la partecipazione attiva e laboratoriale. In altri casi vediamo che il loro uso non corrisponde a nessun cambiamento della didattica e le tecnologie finiscono per isolare chi ha bisogni specifici, anche con lezioni in classi separate. Bisogna invece partire prima da un’idea di scuola diversa, realmente inclusiva e poi potenziarla con gli strumenti digitali».