Sulle case green l'intesa a livello Ue è in alto mare
Tempi più lunghi e una cornice normativa meno rigida rispetto alla versione approvata dall’Eurocamera a marzo. L’Europa non riesce a trovare una quadra per la direttiva sulle “case green”, ovvero per l'efficienza energetica degli edifici. L’ultimo round negoziale del trilogo (Consiglio Ue, Parlamento, Commissione) che si è svolto questo weekend ha portato a un altro rinvio per la chiusura dell’accordo, che resta in alto mare. Nuovo appuntamento a dicembre per risolvere alcuni punti critici che ostacolano l’intesa. Ma con l’imminenza delle elezioni europee e una Eurocamera in scadenza la direttiva rischia di naufragare.
Intanto nella lunga riunione di venerdì notte dei rappresentanti delle istituzioni europee sono state riviste alcune delle parti più controverse della direttiva, come quelle relativa ai target e alle tappe con cui rendere più efficienti le abitazioni. Si va verso un’impostazione più flessibile per gli Stati membri rispetto a quanto previsto nella prima bozza del testo.
In base alle modifiche concordate finora, gli Stati membri otterrebbero molto margine per l'applicazione della direttiva. Ad essi spetterà elaborare piani da qui al 2050 (con scadenze intermedie) con target di riduzione dei consumi di energia. L'armonizzazione delle certificazioni energetiche a livello Ue, inizialmente prevista, è stata rimossa. Anche su questo aspetto gli Stati membri dovrebbero avere carta bianca.
Restano da definire questioni come il meccanismo dei “mutui green”: in pratica verrebbero favoriti con tassi agevolati solo quelli per l’acquisto di case in classe energetica elevata, mentre le altre abitazioni sarebbero deprezzate e avrebbero decisamente meno “appeal” sul mercato. Un altro nodo da sciogliere è relativo all’obbligo di installare pannelli solari sugli edifici pubblici e non residenziali. Anche gli obblighi per l'installazione di colonnine di ricarica nei parcheggi per gli edifici residenziali esistenti sono stati cancellati. Infine, c’è sicuramente un “capitolo costi” su cui fare chiarezza. Occorre stabilire, cioè, se e quali agevolazioni fiscale prevedere per sostenere le famiglie che saranno chiamate a ristrutturare per efficientare gli immobili.
Il testo approvato a marzo dal Parlamento europeo prevedeva regole più stringenti: la classe energetica E entro il 2030 e la classe energetica D entro il 2033 per gli edifici residenziali; un’azione prioritaria sul 15% degli edifici più energivori (in Italia circa 1,6 milioni di immobili); l’obbligo di realizzare da inizio 2026 per i nuovi edifici pubblici (e dal 2028 per i privati) i cosiddetti Zeb, cioè gli Zero emission buildings.
Nella versione della direttiva che è arrivata alle battute finali della trattativa sembra essere prevalso l’approccio più “soft” del Consiglio Ue, che prevede maggior spazio di manovra per i singoli Paesi, in particolare per la classificazione energetica. Allo stato attuale per gli edifici residenziali esistenti i Paesi membri dovrebbero stabilire standard minimi di prestazione energetica basandosi su una “traiettoria nazionale” calcolata sul consumo medio di energia nell'intero parco edilizio residenziale nel periodo dal 2025 al 2050. «Riconosciamo che il patrimonio edilizio di ogni Stato membro è unico», ha sottolineato il relatore dell'europarlamento, l'irlandese Ciaran Cuffe. Il filo rosso che unisce la prima bozza della direttiva con l’ultima su cui si cerca l’intesa è l’approccio che prevede di aumentare progressivamente negli anni gli standard minimi di efficienza delle strutture esistenti, a partire da quelle con le classi energetiche più basse.
In Italia, in particolare dagli esponenti della maggioranza di governo e dalle associazioni del settore edile, la revisione della direttiva sulle case green è stata accolta tra la soddisfazione. La situazione nazionale infatti è sui generis. I numeri ufficiali segnalano che il 53,7% delle abitazioni italiane ha più di 50 anni (risulta costruito prima del 1970); un ulteriore 31% è stato edificato nel ventennio successivo (1971-1990) ed il 7,4% nel periodo 1991-2000. Meno dell'8% è stato edificato nell'ultimo ventennio.
«Abbiamo un patrimonio particolare – conferma il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto - con 31 milioni di fabbricati di cui circa 21 milioni oltre la classe D. Un quadro diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come “bene rifugio” delle famiglie italiane». Il ministro ha annunciato di aver dato mandato a un gruppo di esperti di approfondire il dossier case green: «Entro qualche mese devono fare una verifica delle classi energetiche e indicare un numero di fabbricati su cui intervenire, a partire da quelli con le classi più basse». Ma con l’accordo Ue che sembra ancora in salita, adesso non sembra esserci poi tutta questa fretta.