venerdì 8 novembre 2024
Il presidente della divisione italiana del colosso GE HealthCare: «Le corsie digitali rivoluzioneranno gli ambiti organizzativi e clinici. In Canada è già realtà. Il Pnrr? Italia in ritardo»
Il Command center dell'Humber River Hospital di Toronto

Il Command center dell'Humber River Hospital di Toronto - © Humber River Hospital

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Si chiama “Command center”: sfrutta una gran mole di informazioni (big data), si avvale dell’Intelligenza artificiale (Ia), e lascia che il continuo utilizzo di questi dati migliorino le prestazioni (machine learning): simile a una torre di controllo del traffico aereo, il Command center è capace di gestire un intero ospedale. Futuro? In Canada, a Toronto, nell’Humber River Hospital, è già realtà. Il sistema è stato sviluppato dal colosso Ge HealthCare, per oltre 125 anni divisione medicale di General Electric, e ora spin off della casa madre, quindi a tutti gli effetti azienda indipendente quotata al Nasdaq. 160 Paesi serviti, 51.000 dipendenti e un fatturato di poco inferiore ai 20 miliardi di dollari. Presidente e ad di Ge HealthCare Italia, Malta e Israele, è Antonio Spera, un lucano con la passione per l’ingegneria clinica.

Quando avremo un Humber River in Italia?

Prima di parlare di una simile realtà, servirebbe una “piccola” rivoluzione. Cioè, tutto il processo deve essere digitale, al 100% “paperless”, quindi senza carta. A Toronto, nessun medico, nessun infermiere, né oss (operatori sociosanitari, ndr) scrive qualcosa su carta. All’ingresso di ogni stanza di degenza c’è un tablet, dove è riportato tutto, dalla cartella clinica al menu.

Se questa è la premessa, forse noi siamo un po’ indietro…

Questo è il prerequisito. Il cardine è la cultura organizzativa, il modo di lavorare. In Canada hanno cambiato la concezione del lavoro, l’Humber River è un ospedale 100% digital, dove tutto è trasformato in dati gestibili, “vagliati” da un Command center, una torre di comando che, volendo, potrebbe essere sistemata anche nella stanza di un’abitazione, o contenuta in un tablet, gestibile da ogni parte del mondo. Su quel tablet è possibile guardare in tempo reale, grazie anche all’Ia, il funzionamento di interi reparti: la lista di pazienti, gli esami che stanno eseguendo, la gestione dei letti; il Command center ci avverte anche se un paziente, concluso il percorso diagnostico o terapeutico, necessita delle dimissioni. Ancora, ci aiuta a massimizzare gli appuntamenti e a ridurre i casi in cui i pazienti non si presentano a una visita.

E questo come si può prevedere?

Per farle un esempio, l’Ia sa se i pazienti attesi hanno un’età avanzata, o se sono pluripatologici, se arrivano da distanze considerevoli, e se, nel momento fissato per la visita, le condizioni meteo saranno proibitive, oltre a tante altre informazioni. Il tutto porta a prendere decisioni operative in tempo reale. Grazie alla “programmazione intelligente” si riducono i tassi di mancata presentazione del 70%. E il Command center è determinante pure nel migliorare l’occupazione dei letti.

Un esempio?

Con l’ottimizzazione dei processi, l’Humber River è stato in grado di creare l’equivalente di una capacità di 35 posti letto in più senza aggiungere personale o infrastrutture.

Antonio Spera

Antonio Spera - Ufficio Stampa GE HealthCare Italia

Il Command center interviene anche per un impiego più “clinico”?

Certo. Faccio un altro esempio: incrociando dati fisiologici, parametri come ecg, pressione, temperatura, in certe aree più critiche come le post-operatorie, può prevedere un rischio di sepsi, una delle maggiori cause di morte all’interno dell’ospedale.

Al di là di Ia e dati, come cambiano le macchine che eseguono Tac, Risonanze, Pet?

L’avanzamento tecnologico “hardware” è straordinario: oggi in 0,23 secondi si esegue una Tac cardiaca di estrema precisione. Stanno avendo un’evoluzione epocale le macchine per la radioterapia, che diventano sempre più precise, si adattano al respiro del paziente, e hanno minori effetti collaterali. Senza contare sullo sviluppo della robotica, in sala operatoria e non. Ma tutto è connesso. Perché più sono sofisticate le tecnologie, più la mole di informazioni da elaborare diventa enorme, quasi “esplosiva”, direi. Da qui la necessità di supercomputer che processino questi dati. E del Machine learning che contribuisce a creare esami sempre più precisi, che ci consentono di acquisire dettagli anatomici e funzionali invisibili solo fino a pochi anni fa, il tutto mentre si riduce la dose radiogena e si dimezzano i tempi di esecuzione.

Quanto ha a che fare tutto questo con la medicina predittiva?

La medicina predittiva si basa sull’utilizzo di informazioni plurime che affinano sempre di più la medicina di precisione, o, per essere un po’ più tecnici, le scienze multiomiche. Che poggiano su molti aspetti, tra cui la radiomica, cioè le informazioni che arrivano da Tac o Rm; la metabolomica, cioè i dati del sistema metabolico; e la genomica, ovvero le informazioni del nostro Dna. Questo set di informazioni di un paziente, rapportato ai database di un numero sconfinato di altri malati, aiuta lo specialista a predire percorsi e trattamenti personalizzati di quel paziente: è un tema difficile ma più passano gli anni più abbiamo risposte certe.

Perché le nuove tecnologie porteranno vantaggi ai servizi sanitari in termini di costi?

Per essere pratici: i tempi di esecuzione di moltissime indagini, come la Risonanza magnetica, si sono più che dimezzati. Con le stesse risorse tecniche si eseguono due o più esami rispetto a pochi anni fa, con grandi vantaggi anche sulle liste di attesa.

Ma se il radiologo è uno, i tempi di refertazione non si ridurranno.

Certo, non possiamo accorciare quei tempi. A meno che quel medico non venga supportato dall’Intelligenza artificiale, che non lo sostituisce ma che diventa un ausilio di eccellente precisione per refertare prima e con una qualità mai vista.

La “Missione 6 Salute” del Pnrr prevede risorse per oltre 4 miliardi da spendere entro il 2026, per l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale degli ospedali italiani. A che punto siamo?

I nostri ospedali stanno cambiando passo sia sulla digitalizzazione sia sui grandi impianti. Le gare sono state fatte e aggiudicate, ma le installazioni sono ancora poche.

Siamo almeno a metà strada?

No, non siamo neanche a metà strada. Altri stanziamenti strategici del Pnrr sono dedicati alla ricerca e coinvolgono università, Irccs, centri di eccellenza. Si va dallo studio della teranostica alla medicina di precisione. Anche in questo caso ci sono dei passi avanti importanti ma si procede lentamente.

Insomma, potevamo muoverci meglio?

Potevamo muoverci molto più velocemente. Se penso a quello che hanno fatto gli amici spagnoli… Certo, non avevano la mole imponente dei nostri progetti ma in un anno e mezzo, due, hanno comprato e installato quasi la totalità delle nuove macchine.

Come saranno gli ospedali italiani tra 10-15 anni?

Dovremmo chiederlo a Elon Musk… Lo dico perché ha appena presentato uno dei suoi ultimi robot umanoidi annunciando che nel 2026 saranno commercializzati e si potranno acquistare anche a 20.000 dollari. Teoricamente tra 15 anni mi aspetto che alcune funzioni assistenziali possano essere svolte quasi per intero dall’umanoide, in quanto non ci sono barriere a quel tipo di innovazioni: non dico che potranno fare interventi chirurgici complessi, però ci andremo molto vicini…

Una veduta dell'ospedale

Una veduta dell'ospedale - © Humber River Hospital

Torno alla prima domanda: tra 15 anni l’Italia avrà un Humber River?

Ho qualche dubbio ma anche qualche speranza. Ci arriveremo prima o poi. Tra 15 anni ci saranno, come per tutte le cose, territori e ospedali più innovativi, altri meno. Qui da noi, ho visto qualcosa di interessante in alcuni grandi ospedali privati, che hanno divisioni di ingegneri e ricercatori che sviluppano internamento sistemi avanzati di analisi dei dati, software e applicazioni Ia. Non siamo a livelli di Paesi avanzatissimi come Israele, dove la gestione clinica e operativa degli ospedali sta raggiungendo livelli di eccellenza, ma è un punto di partenza rilevante. In assoluto, il faro in questo ambito resta il Nordamerica.

Cosa accade in Nordamerica, a parte l’esempio di Toronto?

Succede che ci sono già decine di Command center perché il privato americano può crescere, a differenza del nostro che ha dei tetti sulle prestazioni stabiliti dalle Regioni. Paradossalmente invece, è nel pubblico che da noi ci sono margini di crescita migliori. Ma in questo caso servono visione politica e voglia di innovare. È il momento di pensarci.

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