mercoledì 20 ottobre 2010
In gioco un miliardo di euro di entrate. Ma lo Stato finirebbe per ferire tutto il non profit. La norma è contenuta nello schema di decreto attuativo sul federalismo fiscale municipale. Nel mirino tutti gli enti non commerciali, tra cui quelli ecclesiastici da sempre impegnati in campo sociale. Per il governo l’obiettivo è chiudere il contenzioso con l’Ue.
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Per una lettera in meno, tutti gli enti non commerciali (quindi quelli ecclesiastici, e non solo; ma anche il mondo del non profit e del volontariato in genere) dovrebbero, dal 2014, cominciare a pagare l’Imu, cioè la futura versione dell’Ici sugli immobili. In gioco ci sarebbe una somma pari all’incirca a un miliardo di euro che, in questi tempi di ristrettezze di bilancio, farebbe non poco comodo al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, oltre a risolvergli in parte il vecchio contenzioso che è in piedi (per aiuti considerati illegittimi) con la Commissione europea di Bruxelles. Ma, al contempo, si rischia così di mettere in forse la sopravvivenza di molte di queste strutture.La novità, anticipata ieri da la Repubblica, deriva dallo schema di decreto attuativo sul federalismo fiscale municipale - ovvero sulle tasse con cui dovranno finanziarsi i Comuni, per ridurre i trasferimenti statali - approvato dal governo il 4 agosto scorso e ora in attesa, dopo il parere della Conferenza Unificata e del Parlamento, di tornare in Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva. Se la norma fosse confermata, tutta una serie di attività e funzioni (ospedali, scuole, strutture ricettive, ma anche musei, parchi, librerie, biblioteche e cineteche, strutture di società sportive dilettantistiche, sedi di Onlus e di Pro loco) svolte in questi immobili saranno gravate dal nuovo tributo, rinunciando a quella esenzione - introdotta con la legge istitutiva dell’Ici nel 1992 e ridefinita dal governo Prodi 4 anni fa - che è anche al centro della procedura aperta dalla Commissione europea.Il taglio è annidato (come spesso capita nelle leggi) in un oscuro comma all’art. 5 del decreto legislativo in questione, che introduce l’Imu, l’imposta municipale unica che fra poco più di 3 anni prenderà il posto dell’ormai "stagionata" Ici. È il comma 8, infatti, a ridefinire il sistema delle esenzioni. Nel confermarle per gli enti posseduti dallo Stato, nonché da Regioni ed enti locali purché per immobili "destinati esclusivamente ai compiti istituzionali", si precisa che "si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall’art. 7, lettere b), d), e), f) e h)" del decreto n. 504 del ’92. Da questo elenco manca però una lettera, la "i", appunto quella relativa – riprendiamo il testo originario di 18 anni fa – agli "immobili utilizzati da tutti gli enti non commerciali, a condizione che siano destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali e sportive, nonché ad attività di religione o di culto".A dire il vero, i beni ecclesiastici extra-territoriali (quelli, per intenderci, di proprietà del Vaticano) e i luoghi di culto con le annesse pertinenze (tipo l’oratorio) dovrebbero non pagare nemmeno l’Imu, in quanto "garantiti" da altre norme di legge. Per gli altri casi, tuttavia, il danno sarebbe rilevante. Incluso per quegli edifici compresi nelle agevolazioni previste dalla legge sull’handicap sempre del ’92, ovvero per quelle strutture inagibili e poi ristrutturate per essere destinate ad associazioni che fanno attività per i disabili.I radicali, che di questa battaglia si sono sempre fatti portavoce, si dicono «certi», con Maurizio Turco, che alla fine lo stop all’esenzione salterà anche stavolta. Per ora, però, c’è. Pur restando un margine di incertezza legato all’interpretazione del decreto, visto che all’art. 4 è scritto invece che le società non commerciali, invece di essere totalmente esenti, dovranno pagare in futuro soltanto il 50%. Quale delle due norme prevale? Resta invece intatta per ora la riduzione alla metà dell’Ires, cioè dell’imposta societaria, per gli enti e istituti di assistenza sociale e ospedaliera e per quelli attivi nell’istruzione (o a questi fini "equiparati").
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