Ansa
Quella dei trentenni destinati ad andare in pensione a 70 anni sta diventando una notizia ricorrente. L’agenzia Ansa l’aveva pubblicata lo scorso novembre e l’ha rilanciata martedì 11 giugno, più o meno sulle stesse basi: la pensione a 70 anni è uno dei possibili scenari previdenziali per un nato nel 1994 che può indicare Pensami, il simulatore messo a disposizione dall’Inps, da poco aggiornato con le novità non sostanziali previste dalla legge di Bilancio 2024.
L'improbabile scenario della pensione a 70 anni
La soglia dei 70 anni ha il suo impatto ed è utile a “fare titolo”, ma c’è da dire che questo scenario non ha l’aria di essere il più probabile: nella simulazione fatta dall’Ansa potrà ritirarsi dal lavoro a 70 anni un trentenne che ha iniziato a lavorare da poco e nel 2061, quando avrà quasi 67 anni, non avrà ancora raggiunto i requisiti per la pensione anticipata: almeno vent’anni di contributi e un monte contributivo in grado di garantirgli un assegno pari al minimo previsto ogni anno dal governo (per il 2024 il parametro è tre volte l’assegno sociale, cioè 1603,23 euro). È chiaro che è il caso di una carriera che si può definire molto intermittente, se non proprio problematica: se da qui al 2061 l’attuale trentenne non avrà messo insieme 240 mesi di contributi significa che avrà ha lavorato al massimo per 19 dei prossimi 37 anni, cioè appena più di un anno su due.
In ogni caso il trentenne di oggi secondo il simulatore dell’Inps potrà ottenere la pensione di vecchiaia, sempre se avrà raggiunto entrambi i requisiti, a 69 anni e 10 mesi di età. Quindi quasi a 70 anni, contro i 67 anni a cui potrebbe andare un lavoratore con lo stesso tipo di carriera lavorativa, ma nato nel 1956. Questo perché l’età per la pensione di vecchiaia, secondo quanto previsto dalla riforma Dini del 1995 e poi perfezionato dalla riforma Monti-Fornero, deve essere periodicamente adeguata alla speranza di vita che, auspicabilmente, fra quarant’anni sarà più lunga di quella attuale.
Quando 70 anni può essere anche uno scenario ottimistico
I problemi principali, per la pensione di quel lavoratore oggi trentenne, saranno presumibilmente altri. Il più probabile sarà l’importo dell’assegno: l’Italia è uno dei pochi Paesi del G20 in cui gli stipendi reali, cioè quelli che tengono conto dell’inflazione, sono in calo negli ultimi vent’anni. Molta di questa contrazione è “a carico” dei più giovani, che spesso entrano nel mercato del lavoro con retribuzioni basse e condizioni precarie, incapaci di permettere la costruzione di un progetto di vita a lungo termine e di portare a una situazione previdenziale dignitosa.
Ma c’è anche un problema più generale di tenuta del sistema: negli attuali scenari demografici dell’Istat, la popolazione italiana si ridurrà da 59 milioni di persone nel 2022 a 54,4 milioni nel 2050. Nel 2060, quando il nostro trentenne sarà alla soglia del traguardo della pensione anticipata, in Italia dovrebbero esserci 51,2 milioni di abitanti, di cui 25,7 in età da lavoro (tra i 25 e i 67 anni), 10 milioni di giovani (sotto i 24 anni) e 15,6 milioni di anziani, cioè persone con età superiori ai 68 anni. Sostenere il sistema previdenziale in un Paese così vecchio, con un potenziale pensionato ogni 1,6 possibili lavoratori, sarà una bella sfida. Sembra difficile che l’Italia non dovrà provvedere a nuove riforme delle pensioni nei prossimi decenni, con la prospettiva di un pensionamento a 70 anni che potrebbe anche diventare desiderabile.
Itinerari Previdenziali, centro di ricerca indipendente che ogni anno presenta il Bilancio del sistema previdenziale nazionale, spiega che il sistema sembra sostenibile per i prossimi 10-15 anni, con un equilibrio che il presidente Alberto Brambilla definisce «sottile». Servono però adeguamenti dell’età effettiva di pensionamento, che in Italia oggi è attorno ai 63 anni grazie a deroghe e incentivi, il mantenimento dell’impiego dei lavoratori anziani, politiche attive per la formazione e prevenzione per progettare la vecchiaia in buona salute. Il centro studi chiede «una seria revisione dei modelli produttivi e del mercato del lavoro» per un Paese che «al momento naviga a vista, senza una bussola, dinanzi alla più grande transizione demografica di tutti i tempi, con grande parte della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo».