sabato 23 settembre 2017
Oggi la beatificazione a Oklahoma City. Il sacerdote fidei donum in Guatemala fu ucciso dagli squadroni della morte il 28 luglio 1981. Aveva 46 anni.
Padre Stanley Rother mentre battezza un neonato

Padre Stanley Rother mentre battezza un neonato

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Scelse di tornare tra gli indios tzutuhil in Guatemala perché «il pastore non può scappare abbandonando il gregge nel momento del pericolo». Lo scelse sapendo bene ciò che rischiava. Ed è per questo che padre Stanley Rother – sacerdote fidei donum dell’arcidiocesi di Oklahoma City, ucciso dagli squadroni della morte il 28 luglio 1981 – si appresta a diventare beato.

Il rito – presieduto dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi – si terrà oggi proprio ad Oklahoma City al Cox Convention Center, una delle arene dove giocano le stelle del Nba. Ma questa beatificazione sarà anche una giornata storica per il cattolicesimo americano: padre Rother diventerà, infatti, il primo martire nato in una diocesi degli Stati Uniti.

Un martire, per di più, vittima dell’odium fidei in quell’America Latina che proprio in quegli anni per Washington era il “giardino di casa” da proteggere dalle infiltrazioni comuniste. Anche a prezzo del sostegno politico a regimi come quello dei generali-presidenti Fernando Romeo Lucas García ed Efraín Ríos Montt, riconosciuti dalla storia come gli autori in Guatemala di un genocidio.

Martire per nulla barricadero, padre Stanley Rother. Era nato nel 1935 in una famiglia contadina di Okarche, nell’America profonda. Si dice che in Seminario avesse faticato parecchio col latino; tutt’altra dimestichezza avrebbe però dimostrato coi dialetti maya, quando nel 1968 – cinque anni dopo l’ordinazione sacerdotale – si offrì volontario per la missione che l’arcidiocesi di Oklahoma City aveva fondato a Santiago Atitlan, in Guatemala. In una delle aree più povere del Paese per tredici anni padre Stanley si era dato da fare per la sua gente col senso pratico di chi è cresciuto in fattoria. Ma aveva anche tradotto preghiere e brani del Vangelo e promosso corsi di alfabetizzazione e lezioni di matematica. Nel frattempo, però, in quel Guatemala i confini tra le opere di promozione sociale e la guerriglia si facevano ogni giorno più labili: così tra il 1980 e il 1983, con il pretesto del contrasto ai gruppi armati di ispirazione marxista, i governi locali misero in atto un vero e pro- prio genocidio tra le popolazioni indigene che reclamavano maggiori diritti e rispetto per la propria cultura.

Secondo i dati raccolti dal Remhi – il rapporto sulla Ricostruzione della memoria storica, voluto dal vescovo Juan Gerardi Conedera, anche lui per questo ucciso nel 1996 – furono 626 i villaggi maya completamente distrutti, 200 mila le persone uccise o “scomparse”, un milione e mezzo gli indios costretti a diventare esuli nella propria terra. «C’è stato un altro prete ucciso nel Quiche – scriveva padre Rother in una lettera datata maggio 1980 –. Sono tre dall’inizio del mese. Un altro è stato rapito, probabilmente è morto. E che cosa dobbiamo fare in questa situazione? Non possiamo fare altro che continuare il nostro lavoro, andare avanti a testa bassa, predicare il Vangelo dell’amore e della non violenza. Dio si prenderà cura di noi: non succederà niente se non ciò che deve accadere». Quando il suo nome comparve nelle liste degli squadroni della morte fu fatto prudentemente rientrare in Oklahoma. Ma ci restò poco: per la Settimana Santa 1981 era di nuovo a Santiago Atitlan.

E lì – in casa sua – lo colpirono a morte in una spedizione rimasta senza colpevoli, come tutte le altre. Ora la Chiesa proclama padre Rother beato e dona agli Stati Uniti un martire. Un testimone del Vangelo che, proprio nell’America dei muri, getta un ponte tra l’Oklahoma e il Guatemala. Il Paese che, nonostante tante promesse, conta ancora troppi poveri che attendono qualcuno disposto a rimanere «a testa bassa» accanto a loro come padre Stanley.

Padre Rother non è l’unico missionario statunitense ad aver donato la propria vita fino al martirio per i popoli dell’America Latina. In anni recenti vi sono almeno altre due storie significative in questo senso. La prima fu il martirio di tre suore e una laica colpite a morte in Salvador nel dicembre 1980, pochi mesi dopo l’assassinio del beato arcivescovo Oscar Arnulfo Romero. Le religiose Maura Clarke e Ita Ford, missionarie di Maryknoll (il maggiore istituto missionario Usa), la suora orsolina Dorothy Kazel e la laica Jean Donovan, che svolgevano il loro ministero tra i poveri nella città di La Libertad, furono violentate e uccise da un gruppo di militari in un agguato premeditato avvenuto nel contesto degli orrori della guerra civile che sconvolse il Salvador negli anni Ottanta.

La matrice – l’odio nei confronti dei religiosi impegnati in opere di promozione sociale giudicate pericolose nel contesto dell’insurrezione armata – fu molto simile, dunque, alle ragioni che appena sette mesi dopo avrebbero portato alla morte anche padre Rother nel vicino Guatemala.

Più recente, invece, la vicenda di suor Dorothy Stang, delle Suore di Nostra Signora di Namur, uccisa il 12 febbraio 2005 nei pressi di Anapu, nell’Amazzonia brasiliana, da due sicari al soldo dei fazendeiros locali. Originaria dell’Ohio, suor Dorothy era diventata cittadina brasiliana dopo vent’anni di intenso impegno per la causa dei sem terra in nome del Vangelo e per la promozione di uno sviluppo rispettoso dell’uomo e dell’ambiente. Davanti ai suoi assalitori, prima di essere colpita a morte, aveva estratto dalla borsa una Bibbia – l’unica “arma” che portava sempre con sé – e aveva iniziato a leggere il brano del Vangelo delle Beatitudini.

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