martedì 31 dicembre 2024
Il cardinale canadese ricorda la mitezza del Pontefice emerito. «Mi chiese nel 2011 di presentare il suo secondo libro "Gesù di Nazaret"»
Benedetto XVI durante l'Udienza generale il 12 aprile 2006

Benedetto XVI durante l'Udienza generale il 12 aprile 2006 - Agenzia Romano Siciliano

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Ha conosciuto, per la prima volta, Joseph Ratzinger più di 30 anni fa, da cardinale e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) nel 1990 quando era un “semplice” religioso sulpiziano originario del Québec, nella sua veste di teologo ma soprattutto di esperto della spiritualità di Hans Urs von Balthasar e Adrienne von Speyr.

Ma da quell’incontro si dice convinto di essersi confrontato, già allora, con un «maestro del rapporto tra fede e ragione e in un certo senso un Dottore della Chiesa nel solco dei suoi autori più amati e studiati e a lui più affini: Agostino di Ippona e Bonaventura da Bagnoregio».

È la prima istantanea, quasi un “biglietto da visita”, con cui ci accoglie nel suo appartamento, in via Rusticucci a Roma, non distante dal colonnato di San Pietro il cardinale canadese Marc Ouellet, classe 1944, oggi prefetto emerito del Dicastero per i vescovi.

A due anni esatti dalla morte di Benedetto XVI di cui fu stretto collaboratore come prefetto della Congregazione per i vescovi (dal 2010 al 2013) nel cui incarico fu poi confermato da papa Francesco fino al 2023 il cardinale che è stato tra l’altro, per volere di Giovanni Paolo II arcivescovo di Québec (2002-2010) ritorna con la mente al suo ultimo incontro con il Papa emerito al monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, poco tempo prima della sua morte. «Ho avuto la gioia di visitarlo ogni anno nel suo ritiro presso il monastero Mater Ecclesiae, come amico o per consultazioni. L’ultima volta la sua voce era molto debole, ma i suoi occhi rimanevano luminosi e pacifici. Emanava una dolcezza e una nobiltà intrise di spiritualità e umanità. Rimane un faro per i nostri tempi difficili».

Lo sguardo di Ouellet ritorna al suo primo incontro del 1990 con Ratzinger e all’idea di fondare, sotto il suo patrocinio, e con la direzione del gesuita belga e di formazione balthasariana come lui Jacques Servais sulla via Cassia, alle porte di Roma, Casa Balthasar. «Quella struttura dedicata alla memoria del grande teologo svizzero – è la confidenza – nacque anche sotto l’auspicio dell’allora preposito generale della Compagnia di Gesù Peter Hans Kolvenbach e ovviamente su ispirazione di Giovanni Paolo II per il discernimento delle vocazioni e la formazione dei giovani a vivere secondo i precetti del Vangelo». Ouellet, a questo proposito, si sofferma su quanto sia stato importante, quasi cruciale, per Ratzinger l’amicizia e il confronto con due giganti come lui del pensiero cattolico Hans Urs von Balthasar «di cui apprezzava il cristocentrismo e la sua ecclesiologia teologica che sottolinea la stretta relazione tra la Vergine Maria e la Chiesa» e Henri de Lubac «che è stato, in un certo senso, l’ispiratore del suo metodo teologico soprattutto nel rapporto tra storia e Tradizione» con i quali fondò nel 1972 la rivista Communio. «Entrambi erano due sacerdoti profondamente ignaziani ma soprattutto sono stati autori, plasmati dalla conoscenza dei Padri della Chiesa e apprezzati da Ratzinger, proprio per l’importanza che davano al lavoro teologico per la missione della Chiesa e con i quali ha condiviso l’autentico lascito del magistero del Concilio Vaticano II». Tra i tanti fotogrammi legati alla figura di «Ratzinger cardinale» Ouellet rievoca la sua collaborazione alla Congregazione per la dottrina della fede per il simposio del 1997 sull’«interpretazione della Bibbia nella Chiesa». O ancora estrae dal canestro dei suoi ricordi l’essere stato nominato da Benedetto XVI relatore sul Sinodo sulla Parola di Dio nel 2008 e nel marzo 2011 di aver avuto il privilegio con lo scrittore Claudio Magris di aver presentato, in anteprima mondiale, il libro del Papa teologo Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione (edito in quell’anno dalla Libreria editrice vaticana). «Nella sua trilogia sul “Gesù di Nazaret” scritti durante il suo Pontificato - è l’argomentazione – ha voluto considerare quei suoi testi non come magistero ufficiale della Chiesa ma come testi scritti solo da Joseph Ratzinger. Essi rappresentano un mirabile esempio di esegesi teologica della Scrittura, dopo l’esperienza di tanti anni di sviluppo parallelo, per non dire conflittuale, tra esegesi e teologia».

Dei suoi anni di collaboratore di Benedetto XVI Ouellet annota la mitezza del suo antico superiore ma anche la fermezza nel condannare e contrastare con norme ad hoc lo «scandalo degli abusi sessuali» perpetrati dal suo amato clero.

A più di 10 anni dalla sua rinuncia al ministero petrino nel febbraio del 2013 il porporato canadese si dice e quasi si “mostra” convinto della profezia di quel gesto così forte e di rottura con il passato. «Le circostanze delle sue dimissioni sono state indimenticabili, e in un certo senso me le aspettavo senza che io sia stato informato in privato, perché vedevo che il Papa non si sentiva più in grado, ad esempio, di recarsi a Rio de Janeiro per la Giornata Mondiale della Gioventù nel luglio 2013. Immaginavo che avrebbe potuto pianificare di lasciare il posto a qualcun altro dopo aver riflettuto e pregato a lungo. La sua decisione in tal senso mi è sempre sembrata tempestiva e profetica, così come il momento in cui ha scelto di ritirarsi in silenzio e in preghiera. A mio avviso, il suo gesto rimane una delle più grandi testimonianze di umiltà, servizio disinteressato e amore per la Chiesa». E osserva ancora: «Il suo prestigio duraturo è il segno di un’autorità teologica che passerà alla storia come uno degli eminenti teologi della Chiesa».

Quale eredità lascia dunque a due anni dalla sua scomparsa come Papa ma anche come teologo, sacerdote, pastore e “semplice” uomo di fede? «Ratzinger ha incarnato l’autorità dottrinale della Chiesa in un modo che ha suscitato il rispetto anche dei suoi avversari. Basti pensare come anche da “semplice professore” di teologia è sempre stato in dialogo con la cultura del suo tempo. Egli vedeva la sua missione, come recitava il suo motto episcopale già quando era arcivescovo di Monaco in Baviera, come un “collaboratore della verità”, cioè testimone di Cristo, che è la Verità in persona. Da qui la sua umiltà, il suo personale distacco dal prestigio della sua carica e la sua disponibilità a cedere il passo». Ouellet nutre infine ancora un sogno. Che ha il sapore dell’auspicio: «Spero che un giorno venga riconosciuto come Dottore della Chiesa nella tradizione dei grandi santi Agostino, Gregorio, Anselmo e Bonaventura».

Il cardinale Marc Ouellet oggi prefetto emerito del Dicastero per i vescovi in una conferenza in Vaticano del 2021

Il cardinale Marc Ouellet oggi prefetto emerito del Dicastero per i vescovi in una conferenza in Vaticano del 2021 - Agenzia Romano Siciliani

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