Non ama che siano chiamate «opere d’arte ». «E non ho mai pensato che dovessero essere tali», racconta Mimmo Paladino. Ciò di cui si parla sono le tavole, ventitré in tutto, che arricchiscono il nuovo Messale Romano in italiano. La Cei, che ha curato non solo la traduzione dal latino ma anche il progetto editoriale del rinnovato libro liturgico, ha voluto ancora una volta che l’arte fosse a servizio della celebrazione e che mistero, bellezza e vita si unissero.
Il maestro di Paduli Mimmo Paladino nasce nel 1948 a Paduli, nel Beneventano. È tra i principali esponenti della transavanguardia, movimento fondato da Achille Bonito Oliva nel 1980 che individua un ritorno alla pittura. Ha realizzato opere d’intonazione arcaica, accentuate dall’uso di simboli greco-romani, etruschi e paleocristiani. Fonde elementi figurativi e riferimenti artistici di numerose aree culturali. È sua l’opera “Porta di Lampedusa-Porta d’Europa” realizzata nell’isola. Paladino aveva già illustrato il Lezionario liturgico della Cei datato 2007 e il nuovo Evangeliario ambrosiano promulgato nel 2011. - .
Un’arte “nuova”, contemporanea entra nel volume invece di ricorrere ai capolavori dei secoli passati. Era accaduto anche con il Lezionario varato nel 2007 che contiene un prezioso corredo di immagini firmate da trenta maestri del nostro tempo. E a realizzare alcuni dei lavori era stato Mimmo Paladino. Il maestro 71enne originario della Campania, fra i maggiori artisti contemporanei che l’Italia sta esprimendo, esponente di primo piano della transavanguardia, è tornato a confrontarsi con l’ars celebrandi. Ed è stato scelto dalla Cei per illustrare la terza edizione italiana del Messale che arriverà entro fine mese nelle parrocchie della Penisola, dopo un articolato percorso durato quasi due decenni e che sostituisce la precedente edizione rimasta in uso per 37 anni. Paladino definisce le opere contenute nel libro liturgico «pagine disegnate ».
L’Assunzione - .
E spiega ad Avvenire: «Ritengo che siano segni. Segni che intendono accompagnare la parola scritta e che vogliono essere intelligibili a più livelli. Il Messale è uno strumento potente, se così possiamo dire. Contiene parole che conducono l’uomo verso l’assoluto attraverso il memoriale della morte e risurrezione del Signore. Quindi non ha bisogno di decorazioni ma di segni grafici che possano tradurre visivamente quanto vi si legge ».
L’eclettica mente di Paduli fa una pausa. «È stato uno sforzo di sintesi. In fondo la sintesi è ciò che ogni artista cerca nel suo lavoro ed è la cosa più ardua da ottenere. Sono felice che papa Francesco lo abbia sottolineato quando gli abbiamo presentato il Messale, evidenziando la semplicità delle tavole». Perché Paladino era presente lo scorso 28 agosto all’udienza durante la quale il cardinale Gualtiero Bassetti e una delegazione della Cei – di cui l’artista faceva parte – hanno consegnato al Pontefice la prima copia del volume. «Una grande emozione – racconta Paladino –. Sono bastati pochi minuti per ritrovarsi tutti insieme, compreso il Papa, intorno al libro. Sembrava di essere a uno di quei tavoli di lavoro che si organizzano quando si vara un volume. Francesco l’ha tastato, l’ha sfogliato con attenzione, ha fatto osservazioni. Per un attimo mi sono quasi steso accanto al Papa per partecipare con lui alla visione dei disegni». Ride l’artista. «Poi mi sono reso conto che non era consona la mia posizione e mi sono subito ripreso...».
Il sepolcro - .
È durata due anni la sfida artistica sul Messale. «Quando la Cei mi ha comunicato la committenza, ne sono stato onorato ma anche intimorito. Da una parte, sono persino rimasto sorpreso dell’incarico; dall’altra, ho accettato con entusiasmo ». Il risultato finale è frutto di un cammino di creazione e revisione. «È vero che sono poco più di una ventina le tavole inserite nel volume ma ne avrò prodotte almeno il triplo. I disegni venivano fatti; poi erano commentati con i miei compagni di viaggio; quindi si limavano; e spesso si rifacevano per giungere a quello che il Papa chiama lo stile della semplicità ».
A fianco di Paladino sono stati per mesi – come lui rivela – l’ex direttore dell’Ufficio liturgico nazionale della Cei, don Franco Magnani, il liturgista e teologo torinese don Paolo Tomatis e Pierluigi Cerri, «grafico illuminato», come lo definisce l’artista. «È stato un impegno corale», aggiunge. Il Messale si apre con un albero che richiama il tempo. «Al centro c’è il concetto di germogliare – afferma Paladino – . Ho inteso evocare un mondo che non può dirsi definitivo, che di volta in volta si apre e si rinnova, che contiene sempre qualcosa di sorprendente».
Come appunto l’Anno liturgico. E le prime dodici immagini scandiscono l’avvicendarsi dei vari “Tempi”: Avvento, Natale, Quaresima, Settimana Santa, Triduo, Pasqua, Pentecoste, fino al Tempo ordinario. «Mi sono lasciato ispirare da alcuni passaggi fondamentali. Sono stato ortodosso, ma non è mancata quella libertà che permette a un artista contemporaneo di poter aggiungere qualcosa a ciò che nei secoli è stato fatto».
La tavola per la Quaresima - .
La Quaresima è introdotta da un volto di profilo. «Il tempo quaresimale e quello pasquale mi sono cari fin da ragazzino. Nel 1983 ho realizzato un dipinto di ampie dimensioni intitolato Notte di Pasqua: rimanda alla devozione popolare che segna le giornate dell’attesa. Essendo cresciuto nel Meridione dove la cultura religiosa si fonde anche con la leggenda, l’avvicinarsi della notte di Pasqua era un frangente suggestivo e di alto valore simbolico». Due volte torna il sepolcro: nel Sabato Santo e nella Veglia pasquale. «È un’immagine poderosa di per sé, una forma plastica e scultorea. Non è stata sicuramente la tavola più semplice da concepire e per questo ne ho fatto diverse versioni. Ma era la più chiara, la più presente nella mia mente: sia per ragioni personali, sia per il bagaglio culturale che possiedo».
E l’“icona” più difficile? «L’Assunzione della Vergine. È stato uno dei momenti davvero complessi. Volevo sfuggire dalla retorica e dal “già visto”». Poi ci sono le illustrazioni per il rito della Messa, per il “proprio dei santi”, per le Messe per le varie necessità, per quelle votive o per i defunti. «L’arte ha sempre un’origine spirituale – nota Paladino –. E la nostra storia pullula di elementi sacri. Qualunque espressione artistica che vada al di là del contingente guarda all’assoluto. Mi piace citare Kandinsky e la sua analisi sullo “spirituale nell’arte”.
Anche la forma più astratta, e vale lo stesso per la musica, ha un afflato trascendente ». Ma la Chiesa sa ancora incontrare l’arte contemporanea? «Credo che il dialogo sia ripreso con Paolo VI quando la comunità ecclesiale è riuscita a riconnettersi a quello che era un millenario colloquio con l’arte. È innegabile che ci sia stato un black-out imputabile a motivazioni sociali, culturali e direi politiche. Certo, anche le forme apparentemente meno legate ai soggetti sacri possono essere talvolta profondamente religiose. Penso alla cappella di Henri Matisse o a quella di Mark Rothko, pittore quasi totalmente astratto che con i suoi monocromi fa soffiare nel luogo di culto uno spirito mistico». Il coraggio di incorporare l’arte contemporanea nel Lezionario della Cei aveva suscitato critiche, fino a rasentare l’ostilità.
Adesso che cosa aspettarsi? «Le rimostranze non arrivano soltanto da alcuni membri della Chiesa. In molti sono ancora legati ostinatamente a una concezione convenzionale dell’arte che, invece, non ha limiti di forma – conclude Paladino –. È vero che esistono i condizionamenti culturali i quali fanno sì che le patenti artistiche siano attribuite a ciò che è illustrativo, soprattutto quando si tratta di tematiche ecclesiali. Tuttavia l’arte, quando è tale, è sempre riconoscibile. E, anche se apparentemente non decifrabile, tocca il cuore e sa parlare all’uomo di ogni tempo, non solo del proprio tempo».