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Di fronte alla sofferenza delle persone omosessuali lasciate ai margini delle nostre comunità ecclesiali «un pastore deve interrogarsi su come accompagnare, discernere e integrare tutti, nessuno escluso». Lo sottolinea Marcello Semeraro, vescovo di Albano, autore della prefazione al libro di don Aristide Fumagalli (teologo morale), L’amore possibile. Persone omosessuali e morale cristiana (Cittadella, Assisi, pagg.207, euro 15,90), testo impegnativo e rigoroso. La postfazione è del teologo morale Giannino Piana. Nessuno slogan, nessuna semplificazione, ma un serio excursus attraverso la dottrina sul tema, dalle radici bibliche fino alla ricerca teologica contemporanea, per riflettere su un dato oggettivo. Il giudizio morale non può essere astratto ma deve far riferimento alla condizione concreta delle persone e ai risultati scientifici. La condanna degli atti omosessuali, spiega l'autore del libro Fumagalli, “non contempla la possibilità, sconosciuta sino all’epoca contemporanea, che gli atti omosessuali corrispondano alla natura della persona ed esprimano l’amore personale”. Non quindi atti dettati da “idolatria religiosa ed egoismo edonistico” – le due condizioni che li rendono inaccettabili – ma “espressione di amore personale cristiano”.
Rovesciamento della dottrina? No sviluppo perché – come tutta la storia della Chiesa dimostra – la dottrina non è “monolite fissato una volta per tutte”, ma può essere paragonato “a un edificio, come lo sono molti templi e chiese, che viene ristrutturato per meglio corrispondere al suo senso e alla sua funzione nel corso della storia”. Che non significa radere al suolo l’edificio, ma far tesoro della sua struttura e delle sue fondamenta.
Anche la dottrina sull’omosessualità può quindi svilupparsi in “continuità difforme” senza contraddirsi e senza fossilizzarsi, ma “assumendo nuove forme”? La risposta di don Fumagalli, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, è cautamente positiva. Nell’enigma interiore rappresentato dall’omosessualità, il teologo si addentra in punta di piedi, con il rispetto dovuto ad ogni persona indipendentemente dal suo orientamento sessuale, nello sforzo di comprende se l’amore omosessuale possa dirsi interpersonale, rispettoso dell’alterità, fecondo, casto, responsabile e quindi cristianamente accettabile perché modellato sull’amore di Cristo.
Il teologo non nega i limiti dell’amore omosessuale in relazione alla “strutturale riduzione dell’alterità sessuale” e all’”assenza della fecondità generativa” (che può essere però compensata, si spiega, da fecondità spirituale, relazionale e sociale), ma considera che oggi “una teologia più attenta alla vicenda personale considera il cammino verso l’ideale, riconoscendo la gradualità necessaria per adempierlo e gli eventuali intralci che lo limitano”. Non l’idealismo astratto del “tutto o niente”, ma la ragionevolezza del “meglio possibile”. Il frutto che questa teologia ha prodotto in riferimento alle cosiddette situazioni matrimoniali irregolari, si legge ancora, “può istruire adeguatamente il discernimento morale e l’accompagnamento pastorale delle persone omosessuali nel cammino dell’amore cristiano”.
A monsignor Semeraro, autore della prefazione a L’amore possibile. Persone omosessuali e morale cristiana, abbiamo rivolto alcune domande.
Monsignor Marcello Semeraro - Cristian Gennari/Siciliani
Monsignor Semeraro, la prima curiosità, vedendo la sua prefazione, non è tanto per i contenuti, comunque molto importanti, ma sulle ragioni che hanno indotto un vescovo come lei, che ha incarichi di rilievo anche al di fuori dalla sua diocesi, a stendere una riflessione di accompagnamento a un testo secondo cui l’amore omosessuale è scelta di donazione cristianamente possibile. Perché ha accettato?
Sono un vescovo, cui è stata affidata la cura di una Chiesa locale, dove le tematiche affrontate in questo volume sono presenti e a più livelli: quelli generali, certo, come lo sono di fatto in ogni comunità cristiana, ma c’è pure il fatto che da alcuni anni, proprio nel territorio diocesano e all’interno di una struttura religiosa, si svolgono periodicamente incontri di riflessione sul come accogliere e, perciò, accompagnare, discernere e integrare l’esperienza di fede di persone omosessuali (Forum italiano dei cristiani Lgbt). Ricorro volutamente ai verbi scelti da Francesco in Amoris laetitia per il semplice fatto che a me paiono non doversi riservare a solo un ambito della pastorale, ma siano piuttosto in grado di delineare un progetto di pastorale davvero "integrale". Questo, se vale quanto lì è scritto e cioè che "si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia "immeritata, incondizionata e gratuita" (n. 297).
Quindi nella prospettiva della misericordia sarebbe possibile aprirsi a un’ulteriore valutazione dell’amore tra due persone omosessuali?
Non intendo entrare nel merito di questioni di teologia morale, che saranno certamente discusse e approfondite col rigore metodologico e le competenze di chi è esperto in materia. Ma è molto importante l’impegno col quale in questo volume cerca di capire in che misura i due pilastri della dottrina circa la sessualità e il matrimonio: la finalità procreativa e il rapporto sessuale entro la polarità maschile-femminile, sono applicabili alla condizione omosessuale. Questo saggio ha il grande pregio di affrontare con coraggio un tema di seria urgenza pastorale e lo fa con attento ascolto delle realtà vissute dalle persone omosessuali, con rigore scientifico, recuperando e rileggendo quello che la tradizione della Chiesa ha elaborato. Non manca neppure il confronto con le acquisizioni più recenti in ambito di omosessualità.
Da questa riflessione teologico-morale sull’amore omosessuale quali conseguenze pastorali possiamo immaginare?
A me, proprio per le domande e le sofferenze cui ho accennato, sta a cuore il profilo pastorale e questo a partire da quanto leggo nel Catechismo della Chiesa Cattolica riguardo a chi presenta tendenze omosessuali: "Devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione" (n. 2358). Ora, questo volume ci ricorda che il tema dell’omosessualità oggi deve senz’altro essere considerato, anche nella Chiesa, come realtà umana dalla quale non ci si può estraniare. L’azione ecclesiale, o pastorale, ne è sempre più coinvolta ed è cosa che io percepisco nel dialogo coi miei collaboratori e gli operatori pastorali nei diversi ambiti, fra cui al primo posto ci sono la catechesi, la pastorale per l’educazione e la scuola, la pastorale giovanile e quella della famiglia. In questa prospettiva, scrivere un testo di teologia morale sull’omosessualità è un gesto che, all’interno della panoramica della nostra Chiesa oggi, si rivela anche necessario perché aiuta a riflettere su una realtà che ci pone domande in parte nuove e, certamente, anche difficili, ma proprio per questo meritevoli di ascolto. Si tratta di una riflessione utile per affrontare, in modo più ampio e globale, una tematica che spesso è posta in forme semplicistiche e riduttive, a volte persino ideologiche, creando, nei singoli e nelle comunità, situazioni di conflitto e di profonda sofferenza.
Lei ha incontrato direttamente persone omosessuali che le hanno espresso questa sofferenza?
Un incontro che non riesco a dimenticare è stato quello con i genitori di un giovane che, a un certo punto della sua vita, aveva confidato loro di essere omosessuale. Come sacerdote e vescovo io posso soltanto intuire ciò che in tal caso può accadere nel cuore di un padre, di una madre. Ciò che, però, loro intendevano soprattutto comunicarmi non era tanto il fatto in sé, ma rendermi partecipe della domanda che li tormentava: era vero che, per essere omosessuale, il loro figlio era da considerarsi scomunicato? La domanda mi sorprese e non poco. Appena li rassicurai del fatto che per essere scomunicati ci vogliono ben altre cose, sollevati da questa notizia cominciarono a piangere. Per loro fu come se fosse stato tolto un macigno dal cuore; di fronte a quelle lacrime, però, il peso sul cuore lo sentii io: come è possibile che, invece di accompagnare situazioni già di per sé estremamente complesse, noi rendiamo addirittura inestricabile tanta complessità?
Quale risposta possibile?
Penso che posto di fronte a domande – e a lacrime – come queste un pastore non possa e non debba esimersi dalla triplice modalità di ascolto declinata in termini di accompagnare, discernere e integrare. Non si può sfuggire a domande del tipo: Dio, dove sta nella vita di questa persona? Qual è il suo disegno di salvezza per lui/lei? Come possiamo noi, come Chiesa, essere strumento e luogo di incontro, per questa precisa persona, con la misericordia di Dio?