«Ricordate la vostra appartenenza» e «difendete la memoria». Sono i due compiti che il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha voluto lasciare a giornalisti e dipendenti del nostro quotidiano, durante l’omelia pronunciata nella Messa celebrata nella sede milanese di Avvenire.
Un appuntamento in vista del prossimo Natale, che ha anche un piccolo-grande valore storico, visto che, come ha sottolineato il direttore Marco Tarquinio nel suo saluto, «è la prima volta di un segretario di Stato vaticano nella nostra redazione. Grazie per essere qui – ha proseguito Tarquinio –, per la sua vicinanza e l’amicizia che ci ha dimostrato in questi anni. Avvenire è una realtà di laici cattolici al servizio della Chiesa e della società italiana. È ciò che ci fa speciali, vogliamo dare quello che danno gli altri ma con una luce in più».
E lo stesso cardinale Parolin ha voluto esprime il proprio ringraziamento «per il servizio che prestate». Nell’omelia, il segretario di Stato vaticano ha preso spunto dal brano del Vangelo di Matteo sulla genealogia di Gesù. Una pagina, ammette il cardinale, che «suscita una certa estraneità a tale sequela di nomi, con cui forse abbiamo poca familiarità, e la percezione di qualcosa di burocratico». Al contrario, avverte ancora il porporato, «il Vangelo di Matteo ci suggerisce di assumere la consapevolezza che dietro ogni nome c’è una storia», una storia «nella quale Dio irrompe: una storia umana non costituita da perfetti, ma da generazioni nelle quali s’incontra anche il male».
Eppure nonostante tutto «Dio non si spaventa: cammina. Cammina con il suo popolo, la speranza del Messia». E lo fa anche «in questo momento così travagliato della vita della nostra Chiesa». Dunque, prosegue il cardinale Parolin, «non c’è storia che non sia parte dello stesso corpo del Figlio di Dio. Proprio nelle genealogie, nella storia dei singoli personaggi è andata prendendo forma la promessa di Dio, promessa di un Re Messia. Questo spiega che Dio salva non sopra, né fuori dalla storia, ma dal di dentro», nell’incontro «con la Parola che diviene carne».
In tutto questo, avverte ancora lo stretto collaboratore di papa Francesco - del quale il celebrante ha voluto portare «il saluto e la benedizione» -, c’è «un preciso messaggio anche per chi come voi si occupa ogni giorno di parole e non solo: come riconoscere la Parola nelle migliaia di parole che ogni giorno alimentano la vostra redazione? C’è una bussola con cui orientarsi?».
La risposta, ricorda Parolin, sta «nel ricordare la vostra appartenenza ogni giorno. La storia parla e traccia percorsi per il futuro. Voi appartenete a una storia ecclesiale, impreziosita da grandi figure del laicato cattolico italiano. E, permettetemi, “appartenete” anche in maniera indissolubile a un grande Pontefice, Paolo VI, che più di ogni altro ha permesso che la vostra genealogia potesse svilupparsi nel tempo».
E proprio di san Paolo VI, il cardinale ha voluto ricordare il discorso sui mezzi di comunicazione sociale il 27 novembre 1971, parole «riproposte anche da papa Francesco nell’udienza concessa per i vostri 50 anni di vita». Non meno importante, avverte il cardinale, è «la difesa della memoria», come raccomandava il cardinale Carlo Maria Martini nella sua Lettera pastorale “Il lembo del mantello”. Memoria che «è l’unico criterio che permette di sfuggire all’assolutizzazione della novità. Le notizie non devono possedere solo il carattere di novità, ma anche quelli della memoria. Senza questa non c’è identità. E questo vale soprattutto per un mondo quale quello dell’informazione i cui confini sotto la spinta delle moderne tecnologie diventano sempre più labili».
Al termine della Messa vi è stato anche un momento di convivialità, durante il quale il direttore generale Paolo Nusiner ha salutato e ringraziato «questa famiglia di cui ho fatto parte per 18 anni», visto che dal primo gennaio diventerà direttore generale dell’Università Cattolica, e al quale subentra l’ingegner Alessandro Belloli.
«Grazie all’editore che ci sostiene – ha detto Nusiner –, al presidente il vescovo Marcello Semeraro, al direttore Tarquinio e a ciascuno di voi, che siete stati compagni di strada di un lavoro di squadra».