«Nessuno è nato schiavo, tutti siamo al mondo per essere fratelli», affermava Nelson Mandela. Celebrando la memoria liturgica di santa Bakhita, patrona delle vittime della tratta, testimoniamo che esistono catene, apparentemente invisibili, e ad essere incatenate sono le nostre figlie, sorelle e madri scaraventate sulle strade d’Italia. Vengono stuprate in cambio di soldi, che tra l’altro non andranno mai nelle loro tasche bensì in quelle del racket della tratta e della prostituzione (terzo business illegale al mondo).
Dopo il lungo tempo pandemico in cui il fenomeno si era ridotto, il mercimonio coatto è riesploso, con forza sconvolgente. Sembra cambiata, però, la percezione, improntata a una certa tolleranza, a una maggiore indifferenza e soprattutto all’assenza di uno Stato che faccia sentire la propria volontà nel colpire questo ignobile crimine. Quando parliamo di prostitute stiamo infliggendo un marchio a persone come noi: sono le nostre figlie cadute nella trappola dei trafficanti. «Nessuna donna nasce prostituita ma c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare», ripeteva incessantemente il servo di Dio don Oreste Benzi, pioniere della lotta contro i moderni schiavisti. Appena iniziò a parlarne fu bersaglio di derisione e vennero bollate come esagerate le denunce pubbliche rivolte ai trafficanti di esseri umani, ma anche a coloro che sono di fatto la causa di questo ignobile mercato: i clienti.
Il Papa indica all’umanità e alla Chiesa la missione individuale e comunitaria di abbracciare gli ultimi e i più deboli. Francesco sollecita continuamente i governanti a combattere qualsiasi forma di oppressione e di sfruttamento, nel rispetto degli insegnamenti evangelici. I moderni schiavi sono l’anello debole di un turpe business fondato su ingiustizie e iniquità che obbliga milioni di persone a vivere in condizioni di vulnerabilità. Ad essere reclutati e schiavizzati sono soprattutto gli impoveriti dalla crisi economica, dalle guerre, dai cambiamenti climatici e dall’instabilità globale del terzo conflitto mondiale “a pezzi”.
La risposta può arrivare solo dalla consapevolezza di dover unire le forze per tessere reti di bene, per diffondere la luce che viene dal Vangelo. A partire da misure concrete come la tempestiva identificazione e la protezione dei soggetti più fragili nelle aree di confine. Solo così si potrà garantire l’emersione dallo sfruttamento.
Don Oreste Benzi ha dedicato la sua vita al soccorso delle “sorelline” distrutte dalla violenza dello sfruttamento sessuale. “Condividere” è la chiamata a camminare insieme ai migranti, agli sfollati, a chi è in ricerca di un luogo dove vivere in pace e in famiglia, ai lavoratori “invisibili” in balia del caporalato nei campi e dell’accattonaggio forzato. Va riaffermato il valore della dignità umana. La tratta va sradicata, fermando chi controlla il traffico delle schiave costrette a prostituirsi.
Come ha ricordato Sergio Mattarella, ciò è compito delle forze di polizia, dei magistrati, delle istituzioni nazionali e degli organismi internazionali. Ma tutta la società civile è chiamata a fare la propria parte, agendo con responsabilità e coerenza morale. Nessuno può restare indifferente. Contrastare la tratta vuol dire sottrarsi a ogni complicità con le organizzazioni criminali e prosciugare le aree grigie. Significa spezzare il legame “malato” di protezione tra vittima e aguzzini.
Sui marciapiedi delle nostre città sembra scolpita una condanna antropologica: quella di trasformare la sopraffazione in una modalità di relazione sociale. Le vittime della tratta rispecchiano tragicamente l’umana deriva dell’acquisto, dello sfruttamento, dell’appropriazione indebita di altri esseri umani. È come se l’uomo non sapesse evolvere verso una fattuale, intangibile parità di dignità. C’è sempre bisogno psicologicamente, strutturalmente, di qualcuno da sottomettere.
Le vittime della prostituzione coatta sono le moderne schiave e finché non saranno liberate non potrà essere dichiarata la concreta, effettiva abolizione della schiavitù. Ci sono altre odiose forme di asservimento che hanno sempre come bersaglio le persone più fragili e indifese, ma la tratta del mercimonio coatto ha questa peculiarità: si distrugge la libertà di un individuo per farne uno strumento dei propri istinti più primordiali, eticamente riprovevoli, socialmente distruttivi. Il costo personale e collettivo della tratta grava come un macigno sulla nostra civiltà apparentemente moderna ma sempre agganciata alla zavorra di condotte violentemente primitive. Nella società odierna dilaga sotto traccia la tentazione strisciante di attribuire un prezzo a qualunque condizione, situazione, circostanza. Lo dicono esplicitamente i più spregiudicati broker finanziari di Wall Street: “ognuno ha il cartellino come le merci”. Ma se tutti hanno un costo, nessuno ha valore. Dobbiamo sforzarci di fare in modo che sia così, una sfera infrangibile di decoro personale, di salvaguardia collettiva del patrimonio morale di ciascun individuo, di orgogliosa difesa del bene comune superiore della vita. Siamo stati creati per un atto di gratuita bontà divina e dobbiamo mantenere la nostra integrità al di fuori del “mercato”, del mercimonio, del tornaconto senza scrupoli. L’esistenza umana non ha prezzo e quindi anche vendere il corpo non potrà mai essere considerato un lavoro. Così come acquistare sesso non sarà mai paragonabile al libero e autodeterminato atto di fare l’amore. Comprare il “tempio dello spirito” come per le Scritture è la parte fisica dell’individuo, è un peccato agli occhi di Dio e deve essere ovunque un crimine per la legge dell’uomo.