Quello pubblicato in questa pagina è il testo – quasi integrale – dell’introduzione scritta da monsignor Georg Gaenswein, segretario particolare del Papa, al libro «Gesù di Nazaret all’università. Il libro di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI letto e commentato negli atenei italiani» edito dalla Libreria editrice vaticana (pp. 300, euro 18) a cura di Pierluca Azzaro. Il volume raccoglie i testi degli interventi pronunciati in occasione della presentazione del «Gesù di Nazaret» di papa Ratzinger fatta in dieci università italiane, secondo un progetto – ricorda Azzaro nella presentazione – che «nasce da un’intuizione del direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa». (G. C.)
Non è passato troppo tempo da quando qua e là dei professori universitari deridevano quegli studenti di teologia che citavano le opere di Joseph Ratzinger. Molti consideravano il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il gendarme del Papa, anche solo in forza di quel suo ufficio. In effetti, il cardinale divenne come una spina nel fianco di un mondo postmoderno nel quale la questione della verità è considerata priva di senso, di una società dell’opulenza e dell’avidità che sembra sempre più voltare le spalle a Dio; era un uomo scomodo che, senza tanto discutere, aveva preso su di sé un giogo pesante. Ma chi è in realtà quest’uomo? Come fu possibile che, nell’arco di sole ventiquattr’ore dalla sua elezione a Romano Pontefice, trasmise un’immagine di sé completamente diversa? Insieme agli abiti aveva forse cambiato anche la propria natura? Oppure eravamo noi stessi ad avere una falsa idea di questo studioso di Dio tanto saldo quanto umile? È venuto il tempo di sottoporre a una profonda revisione l’immagine che alcuni media hanno prodotto dell’ex Prefetto. E questo non solo per fare giustizia a una grande personalità, ma anche per potere ascoltare senza pregiudizi cosa ha da dire quell’uomo che sta sul trono di Pietro. Il ministero di supremo pastore della Chiesa possiede una dimensione che fa sì che possano esprimersi nel modo più pieno e limpido la natura dell’uomo Joseph Ratzinger ed i doni che gli sono stati dati. In questo il Papa non è un politico ed il suo pontificato non è un progetto. Non si tratta né di esercitare una singolare creatività, né di mettersi in particolare rilievo. Non è un caso che la parola "Provvidenza" venga spesso utilizzata dal Papa. Il 24 aprile 2005, alla Messa per l’inizio del ministero petrino, Benedetto XVI affermò dimostrativamente di rinunciare ad un «programma di governo»; perché, in realtà, quel programma era stato già fissato da tempo, da circa duemila anni per essere precisi.
E il Papa disse chiaro e forte: «Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia». Dal giorno in cui pronunciò quelle parole sono passati 7 anni. Per un pontificato non si tratta certo di un lungo periodo, e tuttavia è un lasso di tempo sufficiente per tracciare un primo bilancio. Per che cosa si batte Benedetto XVI? Che messaggio vuol portare agli uomini? Cosa lo muove e cosa è riuscito lui stesso a smuovere? Quale «servo dei servi di Dio», è d’esempio con la sua bontà, cura la collegialità fra i pastori, concentra il suo ministero sull’essenziale, in primo luogo sul rinnovamento nella fede, sul dono dell’Eucaristia e sull’unità della Chiesa. Ed evidentemente, proprio grazie al rafforzamento di queste fondamenta e in virtù del lascito del suo grande predecessore è riuscito in quello che, in un lasso di tempo così breve, ben pochi credevano possibile: la rivitalizzazione della Chiesa in un tempo difficile. Nlla curia ha dato nuova linfa a forme antiche e al contempo ha potato rami secchi. (…)
La questione di Dio non è qualcosa che appartiene al passato; al contrario: è attualissima; perché l’uomo trova il suo compimento in una vita che si abbevera alla fonte della fede cristiana. Questo è il messaggio fondamentale delle omelie e dei discorsi di Benedetto XVI. Perché solo Dio libera l’uomo dal peccato e dalle difficoltà di questa vita. Allo stesso modo ha destato in noi meraviglia come l’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con il suo calore e la sua semplicità così spontanea e vera, riesca senza sforzo alcuno ad avvincere il cuore degli uomini. Notevole è anche il suo coraggio: Benedetto XVI non teme il confronto e i dibattiti. Chiama per nome le insufficienze e gli errori dell’Occidente, critica quella violenza che pretende di avere una giustificazione religiosa. Non smette mai di ricordarci che si voltano le spalle a Dio con il relativismo e l’edonismo non meno che con l’imposizione della religione attraverso la minaccia e la violenza. Al centro del pensiero del Papa sta la questione del rapporto tra fede e ragione; tra verità e libertà, tra religione e dignità dell’uomo. La nuova evangelizzazione dell’Europa e di tutto il mondo, ci dice il Papa, sarà possibile quando gli uomini comprenderanno che fede e ragione non sono in contrasto, ma in relazione tra loro. Una fede che non si misura con la ragione diviene essa stessa irragionevole e priva di senso. E, al contrario, una concezione della ragione che riconosce unicamente ciò che è misurabile non basta per comprendere l’intera realtà. In fondo, al Papa interessa riaffermare il nocciolo della fede cristiana: l’amore di Dio per l’uomo, che trova nella morte in croce di Gesù e nella sua risurrezione l’espressione insuperabile. Questo amore è l’immutabile centro sul quale si fonda la fiducia cristiana nel mondo, ma anche l’impegno alla misericordia e alla carità, la rinuncia alla violenza. Non a caso la prima enciclica di Benedetto XVI è intitolata Deus caritas est, «Dio è amore». È un segnale chiaro; di più, una frase programmatica del suo pontificato. Benedetto XVI vuole far risaltare, in tutto il suo splendore, la grandiosità della verità cristiana. L’uomo trova la sua pienezza e il suo compimento in una vita che si disseta alla fonte della fede. È un punto centrale questo. Nella prospettiva del Santo Padre, sta qui la forza e anche la possibilità di futuro per la fede. Il messaggio del successore di Pietro è tanto semplice quanto profondo: la fede non è un problema da risolvere, è un dono che va scoperto nuovamente, giorno per giorno. La fede dà gioia e pienezza. Più di ogni altra cosa è questo che caratterizza il pontificato del Papa teologo. Ma questa fede non è affatto avulsa dal mondo e dalla storia. È una fede cha ha un volto d’uomo, il volto di Gesù Cristo. In lui, il Dio nascosto è divenuto visibile, tangibile. Dio, nella sua grandezza incommensurabile, si dona a noi nel suo Figlio. Al Santo Padre preme annunciare il Dio fatto carne, <+corsivo>urbi et orbi<+tondo>, a piccoli e grandi, a chi ha potere e a chi non ne ha, dentro e fuori la Chiesa, che lo si gradisca o meno. E anche se tutti gli occhi e le telecamere sono puntati sul Papa, non si tratta in definitiva di lui. Il Santo Padre non mette al centro se stesso, non annuncia se stesso, ma Gesù Cristo, l’unico redentore del mondo. Chi vive in pace con Dio, chi si lascia riconciliare con lui, trova anche la pace con se stesso, con il prossimo e con la creazione che lo circonda. La fede aiuta a vivere, la fede regala gioia, la fede è un grande dono: questa è la convinzione più profonda di Papa Benedetto. Per lui è un sacro dovere lasciare tracce che conducano a questo dono. E di questo dono egli vuole rendere testimonianza, «in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».