martedì 6 ottobre 2015
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«Con un dito solo non si lava la faccia e non si sbuccia una banana». È il proverbio citato da un vescovo africano ieri sera, durante gli interventi liberi, per sottolineare l’esigenza di una maggiore vicinanza – anche sul fronte della solidarietà – alle Chiese che vivono le tragedie dell’immigrazione. Cristiani perseguitati vuol dire, al di là degli esiti più nefasti, perdita del patrimonio culturale, difficoltà di culto, smarrimento dei riferimenti nell’ambito della fede vissuta e praticata. «Se i cristiani di Siria arrivano in Canada – spiegava un vescovo asiatico – come sarà loro possibile mantenere le loro tradizioni di culto?». Altri vescovi hanno ricordato le violenze subite delle ragazze cristiane rapite dai terroristi dell’Is. Ma anche il dramma del lavoro minorile in molte regioni africane, dove bambini di fatto schiavizzati, non possono ricevere alcuna educazione. Le sofferenze del mondo, le ingiustizie che segnano interi Paesi, entrano nei lavori del Sinodo già nella giornata inaugurale, lasciando sullo sfondo le dispute sui divorziati risposati che appassionano noi giornalisti. «Entrando nella basilica vaticana, guardavo il volto della gente – ha raccontato un altro vescovo – e intuivo che la cosa più importante è offrire un segno di speranza».
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