Preziosa la sua opera di collegamento con i sacerdoti ammalati o i parroci delle periferie cui fece pervenire l’attenzione dell’arcivescovo che accompagnava nelle fabbriche, nelle parrocchie, negli ospedali, nei convegni, tra i poveri della città, aiutandolo a conoscere la realtà della vasta diocesi: dalle comunità ecclesiali alle carceri, dal mondo del lavoro a quello della cultura. Poi ecco don Macchi accanto al neoeletto Paolo VI, confermato subito nel suo ruolo di segretario. «Da quel momento tutto il suo impegno sarà a servizio incondizionato del vescovo di Roma. Macchi si occupò di far trasferire in Vaticano la comunità delle Suore di Maria Bambina che già era a Milano e le cose personali con la biblioteca privata... Chiese agli artisti milanesi e alla Scuola d’arte “Beato Angelico” di disegnare ed eseguire la tiara per la celebrazione di inizio pontificato... Si accordò con monsignor Capovilla, segretario di papa Giovanni, per avere delucidazioni sull’appartamento papale... Con Paolo VI stabilì l’orario giornaliero ritmato tra preghiera, lavoro, udienze e incontri con i collaboratori della Segreteria di Stato...», così scrive monsignor Ettore Malnati nel suo Ricordo di monsignor Macchi (appena pubblicato dall’editore Luglioprint). Nelle pagine emerge soprattutto la tenacia di Macchi per «far entrare nell’appartamento pontificio le istanze, i travagli della civiltà moderna, i problemi del mondo del lavoro, delle carceri, degli artisti, delle Chiese del terzo mondo, dei rom, di monaci e monache, delle Piccole Sorelle di padre De Foucauld e dell’Opera di don Zeno: Nomadelfia». Oltre al lavoro nella preparazione dei viaggi, nei contatti ecumenici, nell’aiuto a poveri e detenuti insieme all’Elemosiniere pontificio Antonio Travia. Ed è sempre Malnati a ricordarci il legame mantenuto con amici d’antica data suoi e di Paolo VI. Soffermandosi poi sulle iniziative del prete ambrosiano nella tragedia di Moro. Consultato dai successori di Paolo VI, Macchi tornò a Milano dopo un ritiro nell’eremo costruito da Charles De Foucauld nel deserto. Stabilita la sua residenza presso la Casa di Redenzione di Villa Clerici a Niguarda – dove c’era anche il laboratorio degli artisti Manfrini e Rudelli – fece vita comune con i Paolini dell’Opera cardinal Ferrari, prestando il suo ministero presso le Suore di monsignor Sonzini, impegnate ad accogliere giovani straniere in cerca di lavoro. Poi, mentre contribuiva a gettare le basi dell’Istituto Paolo VI e a tener viva la memoria del “suo” Papa, gli venne chiesto di farsi carico del Santuario e della parrocchia di Santa Maria del Monte, che rivitalizzò e dove nell’84 accolse papa Wojytla assieme al cardinal Martini.
Da arciprete del Sacro Monte passò poi a Loreto, dopo aver provato a dissuadere Giovanni Paolo II che il 6 gennaio ’89 lo ordinò vescovo in San Pietro. Nel suo periodo alla Santa Casa vi fu tutto un prodigarsi di iniziative e a Loreto accolse Giovanni Paolo II nel ’94, a conclusione della Grande preghiera per l’Italia, poi nel ’95 all’incontro dei giovani europei. Quindi, nel ’96 la rinuncia e la scelta di ritirarsi presso le Romite alla Bernaga in Brianza, per dedicare ogni energia a far conoscere meglio il pensiero di Paolo VI: da lì continuò a essere a disposizione dei vari processi diocesani per la beatificazione, da lì partì alla ricerca di utili testimonianze in Europa, lì ideò iniziative e pubblicazioni, vivendo al contempo la sobrietà e i ritmi monastici. «Povertà per sé e generosità concreta per gli altri» ricorda Malnati, «per la Terra Santa dove aiutò l’ospedale di Nazaret; un’opera a Betlemme; il Seminario dedicato a Paolo VI in Costa d’Avorio; le Piccole Sorelle di De Foucauld; un suo compagno missionario in India; alcune famiglie di carcerati; l’opera di don Giuseppe Froid per gli zingari dell’Alsazia; l’Istituto Paolo VI di Brescia; diversi vescovi missionari e alcune diocesi dell’America Latina visitate da Paolo VI...». Macchi è stato anche questo.