sabato 16 settembre 2017
I monaci hanno scelto padre Stefano Zanolini, 64 anni, bresciano. Che oggi riceve la «benedizione abbaziale». «Qui tutto ti aiuta a mettere Dio al centro La città? O ci scopre, o ci cerca»
Chiaravalle, un abate dopo oltre 200 anni
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«Nel monastero l’abate tiene il posto di Cristo. Questo dice san Benedetto. Questo dice la croce che porto al collo. L’abate è come un padre. Il suo compito è generare, custodire, far crescere la vita. È il responsabile della vita spirituale e materiale del monastero. Che non è un’azienda né una cooperativa. E l’abate, di ogni scelta presa dopo aver ascoltato la comunità, deve rendere conto a Dio. Una volta eletto, resta in carica fino ai 75 anni. E io ne ho fatti 64 a marzo. Perciò la comunità deve pensarci bene, quando lo sceglie...», sorride padre Stefano Zanolini. I monaci di Chiaravalle ci hanno pensato bene. E lo scorso 19 agosto hanno eletto questo figlio della Bassa Bresciana, originario di Verolanuova, che dal 2011 era il loro priore, e che oggi alle 15,30 riceverà la «benedizione abbaziale» nel corso della celebrazione presieduta dall’abate generale dell’Ordine dei Cistercensi, padre Mauro Giuseppe Lepori.

Il primo abate eletto dal 1796. Per effetto delle nuove Costituzioni approvate a febbraio, l’abate di Chiaravalle è anche abate preside della Congregazione di San Bernardo in Italia, «che con Milano abbraccia il priorato conventuale di Fiastra, nelle Marche, e l’abbazia di São José do Rio Pardo, in Brasile – spiega padre Zanolini –. La nostra, nata nel 1497, è una delle numerose congregazioni che fanno parte dell’Ordine Cistercense». Ma c’è un motivo ulteriore, a rendere memorabile l’elezione del monaco bresciano. «Chiaravalle venne soppressa da Napoleone nel 1798. L’ultimo abate eletto da questa comunità fu nel 1796. Qui siamo rientrati nel 1952, con i primi quattro monaci. Ma solo ora, per la prima volta dopo oltre duecento anni, la comunità è tornata ad eleggere il proprio abate», riprende padre Zanolini. Un approdo reso possibile dal concorrere di alcune importanti circostanze. In primo luogo: «La decisione assunta nei primi anni ’90 dalla nostra Congregazione di passare da un governo centralizzato ad uno decentrato, con monasteri sui iuris, autonomi, in una rinnovata fedeltà alla Regola e alla tradizione benedettina». In secondo luogo: «Si è abbazia se si hanno almeno dodici monaci professi. E noi oggi siamo quindici: dodici a Milano e tre in una casa dipendente a Roma – prosegue l’abate –. Tredici italiani, due messicani. E un postulante di 33 anni: il più giovane. All’altro estremo abbiamo un monaco di 85 anni e uno di 89, la cui presenza è davvero la cosa più preziosa per tutti noi».



Al centro di tutto: cercare Dio. Padre Zanolini, ultimo di cinque fratelli, due dei quali non ci sono più (come, da molti anni, il papà, una vita da contadino e muratore, e la mamma) è entrato a Chiaravalle nel 1981. «Ero sacerdote della diocesi di Brescia. Ma già in seminario mi ero innamorato del monachesimo, incontrato studiando la storia della Chiesa. Il nostro vescovo, Luigi Morstabilini, da vero padre, mi ascoltò e accompagnò. "Prima diventa prete, fa’ un’esperienza pastorale, prendi un tempo di verifica", mi disse. Così avvenne. Feci tre anni da curato all’oratorio di Bovezzo. Scoprendo che il monachesimo non era un’infatuazione ma una storia seria». Cosa cercava il giovane don Stefano? Cos’ha trovato a Chiaravalle? «Una radicalità più precisa. Cercare Dio, nulla anteporre all’amore di Cristo, dice san Benedetto. Nella vita monastica – nella sua quotidianità scandita dalla liturgia, dalla preghiera, dal silenzio, dal lavoro, dall’ascolto, dall’accoglienza – ho incontrato una forma e una disciplina di vita che ti aiuta a mettere al centro di tutto il "cercare Dio"».

Alle porte della metropoli. Il legame fra Chiaravalle e Milano è sorgivo, fecondo, vitale. Così per secoli. E oggi? Cosa significa essere monaci alle porte della metropoli? «Il vostro pulpito è il coro, scrisse il cardinal Schuster nella lettera d’accoglienza ai monaci arrivati nel 1952. Il nostro primo e fondamentale servizio – risponde l’abate – è la preghiera. È vivere, custodire, testimoniare alla città i valori autentici della vita, che rendono possibile, buona, bella la vita, nel rapporto con Dio e con l’altro, nella condivisione umana, nella solidarietà vissuta, ad esempio, nel lavoro. La città, o ci scopre, o ci cerca. C’è chi ci incontra un po’ per caso, come il turista, che accanto al monumento scopre la presenza di pace di questa comunità. E c’è chi cerca. Qualcosa, Qualcuno. E poi torna. Per pregare, magari ogni giorno, per confessarsi, per avere una direzione spirituale o anche solo un po’ d’ascolto... Persone di ogni età e condizione. Non pochi, i giovani. E numerosi i preti. Anche così siamo al servizio della Chiesa diocesana, oltre al fatto che la chiesa abbaziale è anche la parrocchia del borgo di Chiaravalle, dove convivono rito romano e rito ambrosiano». Ebbene: «Il nostro voto di stabilità – l’impegno a vivere la sequela del Signore legandosi per sempre ad una comunità e ad un luogo, che ci differenzia rispetto ad altre forme di vita consacrata – vissuto alle porte di una metropoli come Milano diventa un segno ancora più forte. A questa società liquida dice che per costruire qualcosa serve un fondamento certo».

Patrimonio di Milano. Chiaravalle è anche uno scrigno d’arte e architettura. La chiesa e parte del complesso monastico sono del demanio statale, il resto del Comune. Qual è il loro stato di salute? «Non vedo nulla d’urgente, per ora, ma qualche criticità forse sì – riconosce padre Zanolini –. Servirebbe almeno un monitoraggio, in particolare alla chiesa. L’importante è che non passi troppo tempo, e l’influenza non diventi polmonite. Chiaravalle è affidata a noi. Ma come il Duomo, come Sant’Ambrogio, è patrimonio di Milano».


Dal 1135 preghiera, lavoro e ospitalità

Chiaravalle venne fondata nel 1135 in un’area paludosa e incolta poco a sud delle mura di Milano. La comunità – voluta da san Bernardo, sostenuta dalla popolazione milanese – rese ospitale e fecondo questo territorio, mentre il complesso abbaziale si arricchì di tesori d’arte e architettura, solo in parte arrivati a noi – si pensi alla «Ciribiciaccola», la splendida torre campanaria. La comunità, soppressa nel 1798, è rinata nel 1952. Liturgia, preghiera. E lavoro: ecco la vita quotidiana dei monaci, impegnati non solo con la cucina, la lavanderia, le pulizie e le attività agricole ma anche con la foresteria, il laboratorio (dove confezionano sale aromatico, marmellate e altro) e la bottega, dove vendono, con i propri prodotti, quelli di altri monasteri e delle varie realtà che fanno parte della «Valle dei Monaci», la rete di comunità e associazioni nata lungo la Vettabbia e alla quale aderisce anche Chiaravalle. Info: www.monasterochiaravalle.it.

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