Il Papa ha parlato della vicenda all’Angelus del 6 giugno - Ansa
Il ritrovamento dai resti di 215 bambini in un pensionato per indigeni in British Columbia ha suscitato forti emozioni e risvegliato un dibattito difficile in Canada. Alla richiesta di scuse da parte della Chiesa e di atti riparatori da parte delle autorità civili, si sono uniti pressanti inviti alla trasparenza sulla sorte delle migliaia di minori scomparsi durante il soggiorno in uno degli istituti per l’assimilazione culturale voluti dal governo di Ottawa.
I fatti non sono nuovi, e la scoperta del cimitero nei pressi della “Kamloops residential school” non fanno che confermare sia i racconti di centinaia di sopravvissuti sia le conclusioni di una commissione governativa, quest’ultima, dopo sette anni di ricerche, nel 2015 aveva appurato che su 150mila bambini delle Prime nazioni, Inuit o Metis, oltre 4mila erano morti fra il 1890 e il 1996 nei pensionati creati per «uccidere l’indiano nel bambino», come recita il testo di una legge canadese dell’epoca. La Truth and Reconciliation Commission aveva quindi denunciato come “genocidio culturale” la politica di prelevare con la forza i piccoli dalle loro famiglie nelle riserve e di educarli in centri, dove parlare la lingua del loro popolo o mantenerne le abitudini era punito severamente. E ha puntato il dito contro le condizioni spesso atroci alle quali venivano esposti i minori, in centri sovraffollati e scarsamente finanziati, dove soffrivano la fame, il freddo ed erano vittime di frequenti epidemie.
Scott Hamilton, un antropologo della “Lakehead University” che ha lavorato per la Commissione, spiega infatti che l’esistenza di questi cimiteri (che non definisce «fosse comuni», ma sepolture umili delle quali il tempo ha cancellato ogni traccia in superficie) non è mai stata un mistero. A non essere nota alle famiglie è invece di solito la causa della morte dei loro figli, le cui spoglie il governo canadese proibiva di restituire ai genitori perché l’invio era troppo costoso. I ritrovamenti e le analisi degli ultimi anni indicano ora che il killer più comune era la tubercolosi, seguita da altre malattie infettive e da incendi o tentativi di fuga. Da quando è entrato in carica nel 2015, il primo ministro Justin Trudeau ha promesso di prendere 94 azioni tese a commemorare gli studenti e migliorare la vita delle popolazioni autoctone.
Ma i leader indigeni credono che il governo abbia ancora molta strada da fare. I 27 milioni di dollari canadesi previsti nel 2019 per cercare i luoghi di sepoltura di migliaia di bambini che mancano ancora all’appello non sono mai stati distribuiti. E secoli di discriminazione e di abusi, come la sottrazione di terre e l’assimilazione forzata, hanno portato a una differenza abissale nelle condizioni economiche delle popolazioni indigene rispetto al resto dei canadesi. All’indignazione per il ritrovamento dei resti dei bambini si è accompagnata una ripetuta richiesta di scuse da parte degli ordini cattolici che gestivano circa la metà delle scuole residenziali per indigeni. In realtà gli Oblati, che hanno amministrato la scuola a Kamloops fino al 1969, si sono scusati nel 1991, cinque anni prima che il programma finisse. La scuola è stata chiusa nel 1978.
Molti dirigenti della Chiesa in Canada hanno presentato da allora le loro scuse alle famiglie. Papa Benedetto XVI nel 2009 aveva espresso «il suo dolore per l’angoscia causata dalla condotta deplorevole di alcuni membri della Chiesa» in Canada. Nelle ultime settimane l’arcivescovo di Vancouver, Michael Miller ha promesso che la Chiesa sarà «completamente trasparente, aprendo i nostri archivi e registri relativi a tutte le scuole residenziali, e solleciterà fortemente tutte le altre organizzazioni cattoliche e governative a fare lo stesso». Quindi si è «scusato sinceramente e profondamente con i sopravvissuti e le loro famiglie, nonché con tutte le persone successivamente colpite, per l’angoscia causata dalla condotta deplorevole di quei cattolici che hanno perpetrato maltrattamenti di qualsiasi tipo in queste scuole residenziali. La Chiesa ha senza dubbio sbagliato nell’attuare una politica colonialista del governo che ha provocato devastazioni per bambini, famiglie e comunità».
Ma, mentre le bandiere in tutto il Canada restano a mezz’asta e memoriali improvvisati con scarpe per bambini sono apparsi ovunque, incluso di fronte al palazzo del Parlamento canadese, i capi delle nazioni autoctone riflettono su come trasformare la giusta indignazione della loro comunità in azioni riparatrici. Perry Bellegarde, capo dell’Assemblea delle Prime Nazioni, la più grande organizzazione indigena del Paese, spiega ad Avvenire che prima di tutto il governo federale deve fornire assistenza alle Prime Nazioni per trovare i bambini scomparsi vicino alle vecchie scuole residenziali. «La scoperta a Tk’emlups te Secwépemc conferma ciò che molti sopravvissuti dicono da anni: che c’è stata molta morte, che ci sono molte tombe senza nome», dice Bellegarde.
Per aiutare il suo popolo a chiudere questo doloroso capitolo, il leader intende invitare il Papa in Canada. Una visita che, a suo dire, permetterebbe di fare un passo verso «il riconoscimento ai nostri bambini scomparsi della dignità e del rispetto che ogni essere umano merita». Ma Bellegarde è convinto che occorre pensare al presente, e usare la consapevolezza risvegliata dal triste ritrovamento per dare più autonomia e risorse alle comunità autoctone. In particolare, conclude, per «recuperare il terreno perso a cause del disastroso esperimento dell’assimilazione forzata e portare le nostre scuole al livello di quelle del resto del Paese».