Quest’anno il 24 marzo, anniversario dell’uccisione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, arriva durante l’inizio di pontificato del primo Papa latinoamericano. Che è poi anche il primo Papa gesuita. E il "martirio" di Romero richiama quello dei padri gesuiti trucidati all’Università Cattolica del Salvador. La loro storia, finita tragicamente documenta come l’autenticità della testimonianza del Vangelo si misuri dall’amare senza limiti e dal dare la vita. Come Gesù sulla croce. In questi giorni, anche alla luce di questi elementi tra loro collegati, molti si sono interrogati su quale sarà la prima canonizzazione di padre Francesco. In realtà la risposta c’è già. L’ha decisa Benedetto XVI il giorno stesso e durante il medesimo Concistoro in cui ha annunciato la sua rinuncia al ministero petrino: sarà, cioè, la canonizzazione degli ottocento Martiri di Otranto, uccisi nel XV secolo durante l’avanzata ottomana in Occidente. Si tratta, pertanto, di martiri vittime della politica "imperialistica" del loro tempo, che preferirono perdere la vita piuttosto che rinnegare la fede in Gesù. E tra coloro che furono uccisi in quel tragico eccidio, vi fu pure il vescovo di Otranto: morto sull’altare. Come Romero.I martiri di Otranto sono, oggi, un simbolo di amore - mite, nonviolento e innocente - che testimonia la Croce. E sul loro sangue si vogliono costruire rapporti e legami di amore, di rispetto, di comprensione e di pace: non di odio, di violenza e di guerra anche col mondo islamico. È bene ricordare le parole che pronunciò Giovanni Paolo II quando, nel 1980, si recò pellegrino a Otranto: «Riuniti oggi qui, presso le tombe dei Martiri di Otranto, […] in unione con questi Martiri, noi presentiamo al Dio Unico, al Dio Vivente, al Padre di tutti gli uomini i problemi della pace in Medio Oriente ed anche il problema, che tanto ci è caro, dell’avvicinamento e del vero dialogo con coloro ai quali ci unisce - nonostante le differenze - la fede in un solo Dio, la fede ereditata da Abramo. Lo spirito di unità, di reciproco rispetto e di intesa si dimostri più potente di ciò che divide e contrappone. […] Gerusalemme […] divenga il punto d’incontro, verso cui continueranno a volgersi gli sguardi dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani, come al proprio focolare comune; intorno a cui essi si sentiranno fratelli, nessuno superiore, nessuno debitore agli altri; verso cui torneranno a dirigere i loro passi i pellegrini, seguaci di Cristo, o fedeli della legge mosaica, o membri della comunità dell’islam».La voce cristiana che si leva dal sangue dei martiri è sempre di amore fraterno. Il centro è sempre il mistero di Cristo: il sangue versato per noi e per tutti. E questo è stato anche l’insegnamento del Concilio Vaticano II: «Ciò si otterrà innanzi tutto con la testimonianza di una fede viva e matura, vale a dire opportunamente educata alla capacità di guardare in faccia con lucidità alle difficoltà per superarle. Di una fede simile hanno dato e danno testimonianza sublime moltissimi martiri. Questa fede deve manifestare la sua fecondità, col penetrare l’intera vita dei credenti, anche quella profana, col muoverli alla giustizia e all’amore specialmente verso i bisognosi» (
Gaudium et Spes, n. 21).Nella sua spiritualità gesuitica e ignaziana, papa Francesco avrà certo tante volte pregato con le parole della preghiera
Anima di Cristo, che dice tra l’altro: «Corpo di Cristo, salvami. Sangue di Cristo, inebriami. Acqua del costato di Cristo, lavami. Passione di Cristo, fortificami». E, nel suo primo discorso ai cardinali, papa Francesco ha affermato: «Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia abbiamo il coraggio di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo crocifisso. E la Chiesa andrà avanti». Papa Francesco è stato eletto in Conclave il giorno dell’anniversario del martirio di Marianela Garcia Villas, luminosa figura di cristiana impegnata per la difesa dei diritti umani, soprattutto dei poveri e degli umili, per più versi legata alla memoria di monsignor Romero. Ed ecco appunto che a Romero ritorniamo, per ricordare le parole della sua quarta lettera pastorale: «Alla base di tutto il nostro lavoro vi è il mistero di Cristo che predichiamo […] Tanto più saremo Chiesa e potremo offrire meglio il nostro contributo di Chiesa per la liberazione del nostro popolo, quanto più ci identificheremo con Lui e saremo docili strumenti della Sua verità e grazia». Un modello chiaro e forte per i cristiani del XXI secolo, sul passo degli ultimi.