“Di fronte alla tragedia di decine di
migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la
fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci
chiama, ci chiede di essere “prossimi” dei più piccoli e abbandonati. A
dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio,
pazienza!...”. La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi
va verso una meta sicura”.
“Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni
santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi
di Roma”. “Misericordia è il secondo nome dell’Amore” ha ricordato il Papa a
tutti i fratelli vescovi d’Europa, perché sostengano il suo appello,
cosi come farà la città leonina. Anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi.
La catechesi del Papa ispirata dal Vangelo domenicale, è stata
incentrata sulla guarigione da parte di Gesù di un sordomuto, simbolo
dei non credenti “…la sua sordità esprime l’incapacità di ascoltare e di comprendere non solo le parole degli uomini, ma anche la Parola di Dio”.
Per questo Gesù compie tre gesti, anzitutto lo allontana dalla folla:
“non vuole dare pubblicità al gesto che sta per compiere, ma non
vuole nemmeno che la sua parola sia coperta dal frastuono delle voci e
delle chiacchiere dell’ambiente".
“La Parola di Dio che il Cristo ci trasmette - ha spiegato
Francesco - ha bisogno di silenzio per essere accolta come Parola che
risana, che riconcilia e ristabilisce la comunicazione”.
Gesù tocca poi le orecchie e la lingua del sordomuto, ripristina “la
relazione con quell’uomo ‘bloccato’ nella comunicazione”, ristabilisce
con lui un contatto. Quindi “alza gli occhi al cielo e comanda “Effatà -
Apriti”.
“Ma questo Vangelo ci parla anche di noi”, ha sottolineato Francesco
“…spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante
isole inaccessibili e inospitali. Persino i rapporti umani più
elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca:
la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia
chiusa, la patria chiusa…E quello non è di Dio! Quello è il nostro
peccato!”
“Guariti dalla sordità e dall’egoismo della chiusura e del peccato veniamo inseriti nella grande famiglia della Chiesa” “…possiamo ascoltare Dio che ci parla e comunicare la sua Parola a
quanti non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha dimenticata e sepolta
sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del mondo”.
Nei saluti dopo la recita dell’Angelus, il Papa, ha reso omaggio alle
tre suore martiri nella guerra civile del 1936, Fidelia Oller, Giuseppa
Manrabal e Faconda Margenta, beatificate ieri in Spagna. “Malgrado le
minacce e le intimidazioni queste donne rimasero al loro posto per
assistere i malati, confidando in Dio “La loro eroica testimonianza, fino all’effusione del sangue, dia
forza e speranza a quanti oggi sono perseguitati a motivo della fede
cristiana. E noi sappiamo che sono tanti”.
Il pensiero di Francesco è andato poi ai vescovi del Venezuela e
della Colombia riuniti nei giorni scorsi - quale "chiaro segno di
speranza" - per esaminare la critica situazione tra i due Paesi,
innescata dalla chiusura del confine ordinata dal governo di Caracas.
Infine una segnalazione gioiosa l’apertura degli XI Giochi Africani, a
Brazzaville, nella Repubblica del Congo, perché “questa grande festa
dello sport - ha auspicato Francesco - contribuisca alla pace, alla
fraternità e allo sviluppo di tutti i Paesi dell’Africa”.