Qui la chiamano «quella notte». Non aggiungono altro, non serve. Le tre e trentasei, oggi, tre anni fa, la terra si gonfia, muove, quasi esplode, magnitudo sei punto zero, 299 morti (249 solo fra Amatrice e Accumoli), 40mila sfollati. Mezzo Centro Italia finisce in macerie, molte sono ancora nello stesso posto. E da quel giorno a oggi sono state registrate 110mila scosse (14.367 con magnitudo maggiore o uguale a due punto zero), certifica l’Istituto nazionale di geofisica. E aggiunge: «La sequenza sismica che ha interessato l’Appennino centrale non è ancora conclusa. L’area compresa tra Camerino e L’Aquila è ancora oggi interessata da una sismicità persistente con rilascio di energia maggiore rispetto a prima del 24 agosto 2016».
E oggi è la giornata delle celebrazioni (civili e religiose) in tutti i Comuni che furono colpiti dal sisma, aperte stanotte con la fiaccolata che ha ricordato chi non c’è più e quella tragedia. La giornata delle lacrime, del pellegrinaggio sui luoghi dove la morte ha accompagnato la distruzione, delle parole capaci di alleviare il dolore e ridare speranza.
Poi c’è domani che amareggia e sconforta. La situazione «è assolutamente critica» ed «è sotto gli occhi di tutti come siamo al palo, dopo tre anni, dopo tre presidenti del Consiglio e tre Commissari straordinari», dice monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti. Allora «bisogna non perdere questo ultimo frammento di tempo che rimane, altrimenti davvero la "desertificazione" significherebbe uccidere due volte e lo dissi già ai funerali, tre anni fa».
L’allarme e l’amarezza di tutti sono raccontati anche da monsignor Renato Boccardo, vescovo di Spoleto-Norcia: «Voglio sperare che il nuovo governo, indipendentemente dal colore, sappia porre la questione del terremoto tra le sue più urgenti priorità», ha detto il presidente della Conferenza episcopale umbra, durante l’omelia per la festa del beato Giacomo Bianconi di Bevagna. «Si erano riposte molte speranze nelle promesse e nelle assicurazioni ricevute dai diversi livelli istituzionali circa il ritorno nelle case e la ricostruzione», ma a tutt’oggi la realizzazione di queste promesse rimane vaga e viene ritardata da incomprensibili intoppi burocratici».
Allarme e amarezza anche del vescovo di Ascoli, monsignor Giovanni D’Ercole: «Questo terzo anniversario mi sembra caratterizzato da tre aspetti. Sempre meno fiducia, dunque esiste il rischio che si perda. Sempre meno attenzione e il rischio è che dimenticarsi del Centro Italia. Infine chiedo, il futuro dove sta? Perché sembra non si stia costruendo». Allora «noi proviamo a farlo, ma attenzione, non fare nulla, in questo momento, sarebbe prendersi una grave responsabilità».
Va ancora avanti D’Ercole: «Tutti sanno che siamo praticamente quasi fermi per tante ragioni che non vanno tutte addebitate alla politica». Le difficoltà «ci sono e concrete», basta dare «uno sguardo a questi territori per rendersi conto che ricostruire richiede una tantissima fatica e un grandissimo investimento in termini anche economici». Se poi a tutto questo «si aggiunge una certa lentezza burocratica, è chiaro quel che accade».