Berselli coordina per l’ultima volta l’osservatorio sulle crisi idriche. «Bisogna rivedere la rete dei depuratori e metterla al servizio dell’agricoltura. La sussidiarietà e la cooperazione vanno sollecitate»
Meuccio Berselli è il tecnico meno amato dalle Regioni in questo momento, perché è il coordinatore dell’Osservatorio sulle crisi idriche che chiede di tagliare l’acqua all’agricoltura assetata. Giovedì lascerà la poltrona di segretario dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po per sedersi su quella di direttore generale dell’Autorità interregionale del fiume Po. In pratica si sposta dal secondo al terzo piano di strada Garibaldi 75. Per chi non conosce Parma, è un palazzone kafkiano in cui campeggia la scritta Magistrato del Po-Genio civile che rimanda ai tempi in cui sul grande fiume decideva un solo Berselli. Oggi invece sono tanti a decidere sull’acqua. Con le conseguenze che racconta il segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale del Po (Adbpo), il quale dalla prossima settimana si occuperà di ciclovie, rinaturazione e tanto altro, ma non uscirà da questa partita, perché dall’Autorità interregionale del fiume Po (Aipo) dipende la manutenzione e la realizzazione delle opere sul grande fiume. Domani coordinerà per l’ultima volta l’osservatorio sulle crisi idriche.
Possiamo dire che la cabina di regia della siccità non è mai stata tanto divisa: i campi chiedono acqua, i rubinetti chiedono acqua, le turbine dell’idroelettrico vorrebbero tenersela... ma l’acqua non c’è. Cosa succederà nella riunione di lunedì 11 luglio?
Partiamo dalla situazione attuale. Le divisioni ci sono, ma vengono governate. Nel corso dell’ultimo osservatorio abbiamo deciso tre cose: riduzione dei prelievi dagli affluenti del Po per irrigare i campi del 20% rispetto alla disponibilità; rilascio di risorsa idrica dai laghi regolati per sostenere per qualche settimana il livello e la portata del fiume; lo stesso dal comparto idroelettrico, quello piemontese e valdostano, in spirito di cooperazione.
Lo hanno fatto?
Abbiamo avuto una buona risposta dai player del settore idroelettrico, ispirati dalla sussidiarietà, e la portata del Po lo ha evidenziato, come pure dai grandi laghi regolati, ma i consorzi irrigui non hanno ridotto, bensì aumentato i prelievi del 10% rispetto alla settimana precedente. I punti di monitoraggio lungo il Po ci danno riscontri non opinabili.
In altre parole, i consorzi irrigui non sono stati ai patti. Con quali conseguenze?
I nostri calcoli dicevano che con le azioni richieste avremmo portato a 300 metri cubi al secondo la portata a Pontelagoscuro. Invece siamo a 220. Meglio dei 160 dei giorni precedenti, ma non abbiamo risolto il problema del cuneo salino che ormai è arrivato a 35 chilometri dalla foce e dei potabilizzatori che servono le province di Ferrara, Ravenna e Rovigo. Abbassandosi il livello del fiume il prelievo per l’idropotabile è a rischio.
Cosa chiederà lunedì 11 luglio?
Di agire. Non si può star tranquilli neanche con 222 metri cubi. Il cuneo salino impedisce di irrigare i campi e contamina la falda, che presto non darà acqua di soccorso. Balliamo sul Titanic.
Non la applaudiranno...
Mi creda, il segretario generale che coordina quel tavolo non si compiace di chiedere dei sacrifici, ma l’acqua non c’è e l’Ue ci chiederà molto presto cosa stiamo facendo per mitigare il problema ambientale. Oltre ai danni da siccità, rischiamo l’infrazione.
Il clima è cambiato: ecco rischi e scenari
35
I chilometri di foce del Po interessati ormai dall’avanzata del cuneo salino dal mare
33%
I capoluoghi di provincia in Italia che registrano, a causa della rete, perdite d’acqua superiori al 45%
6 miliardi
L’investimento annuale necessario, secondo la Società di medicina ambientale, solo per la depurazione
2,8
-45%
Il crollo delle precipitazioni
nel 2022, secondo le elaborazioni di Coldiretti su dati Isac Cnr
900
Gli incendi che si sono sviluppati in meno di un mese sulla penisola, da Nord a Sud
150
Gli interventi effettuati dalla mezzanotte al tardo pomeriggio di ieri da parte dei Vigili del fuoco di Roma
30 metri
L’arretramento medio dei ghiacciai registrato sulle Alpi orientali in questi anni
Perché non si riesce a muoversi tutti insieme?
Perché la normativa sulle concessioni che regolano i prelievi prevede che decida chi concede e chi concede sono le Regioni. Se gli agricoltori di una Regione chiedono più acqua – e non lo fanno perché sono egoisti ma perché altrimenti restano a secco, visto che l’acqua nei canali spesso è la metà del normale – è difficile che quel governatore pensi agli agricoltori della Regione confinante. In tempi di siccità la sussidiarietà e la cooperazione vanno sollecitate.
Come si esce da questa situazione?
Con il commissario. Solo questa figura, prevista dalla norma sullo stato di emergenza adottata recentemente dal governo, potrà prendere e imporre le decisioni necessarie a questa situazione che richiede una strategia complessa su area vasta. La prima debolezza del Paese di fronte alla siccità risiede nelle leggi che ci siamo dati e che non fanno scattare sussidiarietà e cooperazione: il fatto che a Pontelagoscuro non abbiamo 300 metri cubi al secondo non dipende da un deficit di conoscenze scientifiche – sappiamo cosa va fatto – ma dall’assenza di una norma che permetta di fare.
Quanto tempo abbiamo prima che i potabilizzatori del Delta restino a secco?
Malgrado le piogge e l’aumento dei rilasci dei laghi, è questione di settimane. Arriveremo, se va bene, al fotofinish: a fine luglio, l’agricoltura, infatti, non avrà più bisogno di prelevare acqua ai livelli attuali.
Possibile che ci si riduca sempre a sperare di farla franca all’ultimo minuto?
Scontiamo ritardi decennali e la disattenzione ai temi della sostenibilità. Faccio un esempio: oggi utilizziamo l’acqua per produrre mais da biomassa, che sarà bruciato per produrre energia. Ma ormai quella coltura è insostenibile sul piano ambientale. È una energia rinnovabile, certo, ma comporta costi ambientali ed economici elevatissimi. Inoltre, il mais viene irrigato alle tre del pomeriggio, quando l’acqua che arriva sul terreno è poca, perchè evapora prima. Irrighiamolo di notte e con tecnologie più avanzate. E poi facciamo un po’ di cultura dell’acqua: non è pensabile che quando chiediamo ai laghi di rilasciare metri cubi le comunità locali ci portino in tribunale perchè danneggeremmo il turismo...
Tutti dicono che servono nuovi invasi. È così?
Certo, ma non tutti gli invasi. Una diga è fatta di cemento, un invaso modifica il fiume e il territorio: se non ci sono altre soluzioni sono d’accordo, ma prima cerchiamole. E quando decidiamo che l’invaso è indispensabile realizziamolo: ci sono progetti utili e fermi da trent’anni. Non dimenticherei che oltre agli invasi servono i microinvasi per l’agricoltura e un monitoraggio satellitare che consente di sapere chi prende l’acqua e dove la porta.
C’è acqua dispersa che possiamo recuperare?
C’è l’enorme bacino dei depuratori. Sono stati costruiti per ripulire l’acqua e disperderla, non per riutilizzarla per irrigare i campi. Non possiamo più permettercelo. Bisogna rivedere la rete dei depuratori e metterla al servizio dell’agricoltura. Anche qui, però, esiste un problema di competenze: l’acqua idropotabile è gestita da Arera e multiutilities, mentre la parte fluente è in capo alle regioni.
Questa siccità può toglierci l’acqua dai rubinetti?
Gli acquedotti pescano soprattutto in falda e per ora l’acqua c’è. Dico per ora, perchè la falda continua ad abbassarsi. In alcuni Comuni dell’Appennino e delle Alpi dove arriva dalle sorgenti ci sono già autobotti di supporto perchè le sorgenti sono dimezzate dalla siccità.
Cosa cambierà con lo stato di emergenza?
Che gli agricoltori potranno avere i ristori e che avremo un commissario che avrà gli strumenti per decidere e far applicare le decisioni. Aspettiamo il commissario.