C’era davvero una “nave madre” dietro la vicenda della “barca dei minori” salvata dalla Guardia di Finanza due giorni fa nello Jonio calabrese. Ed è stata anche bloccata e abbordata, dopo un lungo inseguimento, a 140 miglia marine dalla costa italiana. Arrestati gli otto trafficanti, un libico e sette egiziani. Confermato anche che la barca, un peschereccio privo di nominativo e bandiera (“Ci sono delle scritte in arabo che tradurremo, ma molto probabilmente sono preghiere o benedizioni”, dicono gli investigatori), proveniva dal Nordafrica, “presumibilmente dalla località di Tobruk in Libia”, spiegano le Fiamme gialle, ma non viene escluso l’Egitto, peraltro molto vicino a Tobruk. Così come è confermata la ripresa della rotta egiziana, strettamente legata a gruppi di trafficanti libici, causata dall’attuale rallentamento di quella che dai territori più a ovest punta su Lampedusa e la Sicilia.
L’operazione che ha portato all’individuazione e al blocco della “nave madre”, è scattata la mattina del 3 giugno dopo l’avvistamento, da parte di un velivolo ATR 42 del Gruppo Esplorazione Aeromarittima della Guardia di Finanza di Pratica di Mare, operante in una missione Frontex di esplorazione, di una imbarcazione da pesca sospettata di trasportare migranti. Portava a rimorchio un battello più piccolo, e, giunta a 80 miglia dalla costa calabrese, si è fermata e da questa sono stati trasbordati sul “barchino” 37 migranti tra i quali 35 minori, in gran parte egiziani e libici. Il dispositivo aeronavale messo in atto, da unità del Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Pratica di Mare e del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, ha quindi operato per intercettare il peschereccio che, dopo il trasbordo degli immigrati, tentava di riguadagnare il sicuro porto di partenza “con l’intento di sfuggire a eventuali controlli e realizzare così ulteriori crociere”.
Le 5 unità navali e un elicottero si sono divise tra chi ha soccorso il “barchino” e chi si è posto all’inseguimento del peschereccio in fuga. La piccola barca è stata intercettata quando ha raggiunto le acque territoriali italiane, circostanza indispensabile per consentire il fermo in acque internazionali del peschereccio in fuga, nel frattempo controllato al radar dalle unità d’altura. Alle 21,30 i minori sono stati recuperati dai militari della Finanza “mentre il battello utilizzato, in precarie condizioni, è affondato prima che potesse essere rimorchiato nel porto jonico”. Più a sud è avvenuto l’abbordaggio del peschereccio (“Non hanno opposto resistenza. Gli siamo arrivati addosso con due unità piuttosto grosse e visibilmente armate”) che è stato scortato dai finanzieri alla volta del porto di Roccella Jonica dove è giunta nella tarda serata del 4, e dove “hanno avuto luogo le operazioni di polizia finalizzate a mettere a disposizione dell’autorità giudiziaria i membri dell’equipaggio e il mezzo stesso, così da sanzionare i responsabili e ricostruire il traffico”.
Come spiega la Gdf, “la particolarità del servizio è data dalla condotta dei trafficanti i quali agendo da nave madre in acque internazionali avevano cercato di ridurre o eliminare il rischio di essere intercettati. Gli accordi internazionali e la prassi operativa perfezionata negli anni, però, consentono in casi come questo, in cui vi sia un collegamento fra una condotta dannosa per lo Stato che la subisce, quale l’introduzione di migranti nel territorio, e l’imbarcazione utilizzata, di fare un’eccezione alla regola generale della libertà di navigazione in acque internazionali, permettendo di estendere i propri poteri di polizia nei confronti dei responsabili, come se si trovassero sul territorio italiano”. I membri dell’equipaggio del peschereccio rischiano ora l’accusa di traffico di migranti, che nei casi più gravi prevede pene detentive comprese fra i cinque e i quindici anni di carcere.